domenica 19 dicembre 2010

A SCUOLA VIETATO CRITICARE

A SCUOLA VIETATO CRITICARE

Il diritto di critica nei riguardi dell'amministrazione per i lavoratori della scuola è stato pesantemente soffocato dalla circolare 88 arrivata in questi giorni nei vari istituti della penisola. Nuove disposizioni che, al di là della riformulazione per tutti i comportamenti lesivi degli obblighi di lavoro - comunicazioni tempestive di malattie, ricostruzione veritiera della carriera, false attestazioni di presenza sul posto di lavoro - inseriscono nella casistica anche sanzioni per «gravi condotte o molestie o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui». Tradotto significa che se durante un Collegio docenti, una riunione sindacale in orario di lavoro o nei lavori del Consiglio d'Istituto ci si azzarda a criticare, naturalmente motivando, un aspetto dell'organizzazione del lavoro, il ministro, la burocrazia locale oppure il preside della scuola, sarà possibile essere sanzionati in base alla nuova normativa introdotta con il decreto legge 27 ottobre 2009, che è stato trasformato in legge definitiva e pubblicato recentissimamente sulla Gazzetta ufficiale.
Sanzionati come? Da un richiamo verbale siano a dieci giorni di sospensione dal lavoro, e di sospensione dallo stipendio, dal preside della scuola. Oltre tale limite, dagli appositi uffici disciplinari della zona dove si è consumato il misfatto. Non sono ammessi ricorsi a organi arbitrali, che sono stati aboliti. Si può, in pratica, solo ricorrere al giudice ordinario. E sappiamo bene quali sono i tempi per una definizione di una causa in tribunale, anche civile. Il malcapitato può così solo sperare nella "clemenza della corte": preside od ufficio che sia. E' ammessa solo una difesa, orale o scritta, che sarà vagliata ad insindacabile giudizio dall'organo che decide sul caso. In aggiunta si introduce per legge anche una pelosa ricerca di collaborazione, leggi delazione, dato che chi fosse a conoscenza di notizie utili per la condanna e non lo dicesse potrebbe esser sanzionato a sua volta per un massimo di quindici giorni, sempre con la sospensione dello stipendio.
Neppure i canoni del liberalismo che esaltano la democrazia, la dialettica, la trasparenza, vengono rispettati da chi si dice difensore della libertà di giudizio. Assenza di critica lesiva (cosa vorrà mai dire?); insindacabilità ed inappellabilità per ogni livello di giudizio; esortazione forzata alla delazione. Insomma il sublime della filosofia giuridica riunito in un'unica norma. Da andarne fieri. E pensare poi che tali comportamenti a cascata vanno ad interessare gli ultimi fruitori dell'istituzione scolastica, che avranno davanti a sé insegnanti sempre più annichiliti, nei quali la dignità umana vien sempre più calpestata, per avere una classe di lavoratori proni al nulla ministeriale. La scuola, che dovrebbe insegnare l'importanza della libertà di giudizio e di discussione, costretta in limiti giuridici da basso impero.
Altra possibilità: anche tale normativa sparirà nel cestone delle normative scolastiche, un ginepraio di difficile interpretazione ed apparirà così come una delle tante "grida manzoniane" che nessuno farà mai applicare. Ma anche in questo caso ci si può chiedere a che pro siano state fatte. Come la si giri, una brutta pagina per la scuola, che è intenta ad arrabattarsi per la sua sopravvivenza in presenza di una continua riduzione di fondi per il suo normale funzionamento.

Claudio Dominech

http://claudiodominech.blogspot.com/2010/11/quando-italia-fa-rima-con-somalia.html

sabato 11 dicembre 2010

L’ARABA FENICE: CITTADINANZA E COSTITUZIONE

Il 28 Ottobre 2010, sulla Home page del Miur, e`apparsa la scritta “Cittadinanza e Costituzione”. La stessa scritta, come avviene per le comunicazioni importanti, era anche riportata nel settore “Istruzione”, accompagnata dal sottotitolo esplicativo: “indicazioni in merito all’introduzione dell’insegnamento di ‘Cittadinanza e Costituzione’ nel nostro sistema scolastico”. C. M. … (il numero della circolare manca

proprio nel sito, dove ‘cliccando su leggi tutto’ si e` rinviati a un altro sito hubmiur.sidi.mpi.it nel quale, della C.M. non si trova traccia e la ricerca in ogni caso risulta complessa e difficile).

Si riapre, dunque, o forse si chiude, una vicenda che viene da molto lontano, che ha attivato interessanti problematiche di ordine epistemologico e didattico e che ha fatto sperare, almeno all’inizio del suo incarico, in una dimensione “costituzionalista” della futura azione del Ministro Gelmini.

Infatti l’art. 1 della legge 169 del 30.10.2008, di conversione del D. Lgs. n. 137 dell’1.09.2008 stabiliva che: a decorrere dall’inizio dell’anno scolastico, oltre a una sperimentazione nazionale… sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione, nel primo e nel secondo grado, delle conoscenze e delle competenze relative a Il neo-Ministro dimostrava cosi` la volonta` di riproporre nelle scuole di ogni ordine e grado l’importanza dell’insegnamento dell’educazione civica, generalmente trascurata nella scuola, ancorandola pero`, e questo era l’elemento forte e innovativo, allo studio e alla conoscenza della Carta

Costituzionale. Era davvero un bel segnale! Tale segnale conobbe una continuita` significativa in due successivi provvedimenti: il primo - l’atto di indirizzo del 4 Marzo 2009 per la sperimentazione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, ricco, per altro, di riferimenti storici ai tentativi di istituire un insegnamento di educazione civica nella scuola che rivelano successi,intuizioni nobili e soluzioni ingegnose,ma anche vari insuccessi; il secondo - il Decreto costitutivo del Gruppo di lavoro per la sperimentazione nazionale di Cittadinanza e Costituzione, formato da illustri esperti, che nella ‘premessa’ fa riferimento a un precedente decreto, il n. 55 del 21.10.2008, con il quale era stato costituito un gruppo di lavoro presieduto dal Prof. Luciano Corradini, Universita` di Roma Tre, con compiti di studio, analisi, proposte e consulenza tecnico. Il Prof. Corradini faceva parte anche del gruppo del 4 Marzo 2009 ed e` evidente che, nel nuova struttura di lavoro, porto` la sua cultura, il suo riconosciuto carisma e gli esiti della esperienza specifica maturata nel gruppo dell’Ottobre 2008. Ma questa volta la presidenza fu affidata al Capo Dipartimento per la programmazione e gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali presso il Ministero. L’idea di Cittadinanza e Costituzione trovo` un’accoglienza entusiasta: migliaia di progetti, elaborati dalle scuole, furono presentati all’ANSAS che, con provvedimento del 17 maggio, era stata incaricata dal Ministro di curare un bando di concorso fra scuole prevedendo di assegnare alla scuola vincitrice un premio in denaro. Il tutto con un’elaborazione in tempi assai ristretti e a ridosso degli scrutini. Questo conferma, se ce ne fosse bisogno, l’interesse e la grande disponibilita` a impegnarsi su contenuti significanti, chele scuole ancora una volta dimostrarono di possedere. Si prescindeva, ovviamente, dal “premio finale”! Sembrava che tutto procedesse per il meglio. Ma non fu cosi`! Qualche giornale comincio` a esprimere valutazioni critiche sostenendo che l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione finisse col caratterizzarsi come una specie di “catechesi” e d’indottrinamento sul “valore” dello Stato, mettendo in discussione la dimensione essenzialmente ‘laica’ della scuola. Punto di vista rispettabile ma che, certamente, contribui` a scelte successive che segnarono chiaramente un’inversione di tendenza: contrariamente a quanto avvenuto all’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, quando, come lo stesso Ministero afferma (10.09.2009), fu “introdotta una nuova disciplina in tutte le scuole di ogni ordine e grado, che oltre ai temi dell’educazione civica, comprende anche l’educazione ambientale, l’educazione alla legalità, i valori del volontariato e l’educazione stradale”, nelle novita` introdotte nell’anno scolastico 2009/2010 non si fa riferimento a questa disciplina, nè alla sua sperimentazione. Si fa anche sparire dall’home-page del sito ministeriale l’icona di Cittadinanza e Costituzione. Lentamente si lascia cadere la “cosa” e delle questioni aperte dalla Legge 169/08 non si parla piu`.

Eppure la Costituzione, nell’allegato alla Direttiva Ministeriale 08.02.96 n.38 - “Nuove dimensioni formative, educazione civica e cultura costituzionale”, e` cosi` definita: “La Costituzione è una specie di “giacimento” etico, politico e culturale per lo più sconosciuto, che possiede la singolare caratteristica di fondare in una visione unitaria i diritti umani e l’identità nazionale, l’articolazione autonomistica e l’apertura sovranazionale”. Nessuno, tuttavia, si curava piu` di Cittadinanza e Costituzione. Al Ministero incombevano nuovi obblighi, quelli della riforma “epocale”. Ma c’era occasione migliore della riforma, per un inserimento sistematico dell’insegnamento di Cittadinanza e

Costituzione, nei diversi curricoli ? La riforma e` stata varata e di Cittadinanza e Costituzione nei curricoli non c’e` traccia. E ora la beffa del 28 Ottobre, con un provvedimento che da` alle scuole indicazioni per l’insegnamento di una materia che non c’e`. Non ci aspettavamo dal Ministro sensibilita` pedagogiche e didattiche, ma sicuramente, la volonta` politica di decidere positivamente su di una problematica certamente complessa ma, che Lei stessa, aveva aperto con la Legge 169/2008. Preferiamo pensare che non l’abbia fatta “politicamente” e non che abbia scelto scientemente di “non fare”, in ossequio a chi pensa che la Costituzione della Repubblica sia soltanto un “pezzo di carta” e che, a conferma di tale pensiero, (?) ne fa scempio quotidiano.

Giuseppe Capilli, g.capilli@libero

Dirigente Scolastico (Messina)

venerdì 10 dicembre 2010

Nella scuola pubblica si impara di più L'Italia in basso per colpa delle private

La lettura approfondita dei dati OCSE PISA resi noti qualche giorno fa dimostra che senza le paritarie il nostro Paese scalerebbe le tre classifiche (Lettura, Matematica e Scienze) anche di dieci posizioni

di SALVO INTRAVAIA
La scuola pubblica italiana sta meglio di quello che sembra, basta leggere correttamente i dati. Sono le private la vera zavorra del sistema. Almeno stando agliultimi dati dell'indagine Ocse-Pisa 1 sulle competenze in Lettura, Matematica e Scienze dei quindicenni di mezzo mondo. Insomma: a fare precipitare gli studenti italiani in fondo alle classifiche internazionali sono proprio gli istituti non statali. Senza il loro "contributo", la scuola italiana scalerebbe le tre classifiche Ocse anche di dieci posizioni. La notizia arriva nel bel mezzo del dibattito sui tagli all'istruzione pubblica e sui finanziamenti alle paritarie, mantenuti anche dall'ultima legge di stabilità, che hanno fatto esplodere la protesta studentesca.

"Nonostante i 44 miliardi spesi ogni anno per la scuola statale i risultati sono scadenti. Meglio quindi tagliare ed eliminare gli sprechi", è stato il leitmotiv del governo sull'istruzione negli ultimi due anni. E giù con 133 mila posti e otto miliardi di tagli in tre anni. Mentre alle paritarie i finanziamenti statali sono rimasti intonsi. Ed è proprio questo il punto: le scuole private italiane che ricevono copiosi finanziamenti da parte dello Stato fanno registrare performance addirittura da terzo mondo. I dati Ocse non lasciano spazio a dubbi. Numeri che calano come una mazzata sulle richieste avanzate negli ultimi mesi dalle associazioni di scuole non statali e da una certa parte politica. Questi ultimi rivendicano la possibilità di una scelta realmente paritaria tra pubblico e privato nel Belpaese. In altri termini: più soldi alle paritarie.

Un mese fa, nel corso della presentazione del XII rapporto sulla scuola cattolica, la Conferenza episcopale italiana ha detto a chiare lettere che in Italia manca una "cultura della parità intesa come possibilità di offrire alla famiglia un'effettiva scelta tra scuole di diversa impostazione ideale". Il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, ha anche sottolineato come, da un punto di vista economico, "la presenza delle scuole paritarie faccia risparmiare allo Stato italiano ogni anno cinque miliardi e mezzo di euro, a fronte di un contributo dell'amministrazione pubblica di poco più di 500 milioni di euro" e ricorda che "in Europa la libertà effettiva di educazione costituisce sostanzialmente la regola". Sì, ma con quali risultati?

Il quadro delineato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico attraverso l'indagine Pisa (Programme for International Student Assessment) è impietoso. Il punteggio medio conseguito dai quindicenni italiani delle scuole pubbliche in Lettura e comprensione dei testi scritti è pari alla media Ocse: 489 punti, che piazzano la scuola pubblica italiana al 23° posto. Con le scuole private scivoliamo al 30° posto. Discorso analogo per Matematica e Scienze, dove il gap con la media dei paesi Ocse è di appena 5 punti: 492 per le statali italiane, che ci farebbero risalire fino al 25° posto, e 497 per i paesi Ocse. Mescolando i dati con quelli degli studenti che siedono tra i banchi delle private siamo costretti ad accontentarci in Scienze di un assai meno lusinghiero 35° posto.

Ma c'è di più: la scuola pubblica italiana, rispetto al ranking 2006, recupera 20 punti in Lettura, 16 in Scienze e addirittura 24 in Matematica. Le private, nonostante i finanziamenti, invece crollano. L'Ocse, tra gli istituti privati, distingue quelli che "ricevono meno del 50 per cento del loro finanziamento di base (quelli che supportano i servizi d'istruzione di base dell'istituto) dalle agenzie governative" e quelli che ricevono più del 50 per cento. E sono proprio i quindicenni di questi ultimi istituti che fanno registrare performance imbarazzanti: 403 punti in Lettura, contro una media Ocse di 493 punti, che li colloca tra i coetanei montenegrini e quelli tunisini.
(Da Repubblica online 10 dicembre 2010)

mercoledì 1 dicembre 2010

Parere CNPI sulla revisione delle classi di concorso


Premessa 

Con riferimento alla nota pervenuta in data 11/10/2010 di cui al prot. N.  AOODGPER9140 inerente la richiesta di unificazione dei pareri espressi dal CNPI nelle adunanze del 26/8 e del 6/10/2010 e l‟emanazione del prescritto parere sul testo originario approvato dal CdM in prima lettura il 12 giugno 2009, il CNPI precisa innanzitutto che detti pareri non possono essere riproposti alla lettera in quanto riferiti a una “bozza aggiornata di regolamento” inviata al CNPI in data 30/06/10 con prot. N. AOODGPER5288 e  contenente profonde modifiche. 
Tuttavia, il percorso compiuto da Ottobre 2009 ad oggi non può essere né sottaciuto,  né tanto meno vanificato, per cui le principali intese già raggiunte nel corso delle audizioni  con l‟Amministrazione saranno riprese, così come saranno riproposti i rilievi rappresentati  e le richieste di modifica già sollecitate, ferma restante la puntuale analisi delle norme regolamentari e dei relativi allegati cui rinvia la citata nota dell‟11/10/2010 . 
Per quanto attiene invece l‟articolazione del parere, il CNPI precisa che essa prevede  tre sezioni: la prima destinata a questioni di natura trasversale, la seconda all‟esame del regolamento, la terza alla disamina degli allegati, con l‟avvertenza che all‟interno della 
seconda e della terza sezione saranno riportati in modo distinto, i punti di intesa già raggiunti con l‟Amministrazione e le richieste avanzate, ma non accolte. 

1. Questioni di natura trasversale 
Il CNPI ritiene che il rinnovato profilo professionale dei docenti imponga la riconsiderazione delle politiche per la formazione e che queste debbano interessare sia la formazione iniziale che quella in servizio, essendo indispensabile assicurare a tutti gli aspiranti alla docenza una preparazione di profilo accademico ed ai docenti in servizio l‟opportunità di aggiornare le proprie competenze professionali alla luce dei percorsi di studio delineati con la recente riforma ordinamentale. 
Il CNPI rileva invece che il Regolamento in esame mostra chiari limiti circa le politiche per la formazione in quanto non solo non ridefinisce i titoli di accesso agli insegnamenti in considerazione dell‟emanando regolamento sulla formazione iniziale, ma glissa anche in materia di formazione in servizio. Infatti nell‟articolato non si riscontra alcun richiamo sia in ordine all‟esigenza di consentire agli insegnanti di cui alla tabella C, con incarico a tempo indeterminato ed in possesso del solo diploma di scuola superiore, di conseguire, qualora lo volessero, una formazione di livello universitario, sia sulla necessità di prevedere un
piano di spesa a sostegno della formazione in servizio di tutti i docenti e, in particolare, di quelli che, per effetto della introduzione delle nuove classi di concorso, possono essere destinati ad altro insegnamento. Al riguardo, si chiede il riesame dei titoli rilasciati sia 
dall‟Università che dall‟A.F.A.M., con riferimento alla tabella A; mentre, relativamente alla tabella C, si chiede la previsione dei titoli di accesso a livello post-secondario. 
Il CNPI non può inoltre esimersi dal rilevare che il regolamento, in assenza di una collocazione delle nuove classi di concorso nel più ampio quadro delle trasformazioni che interessano il ruolo sociale della scuola appare alquanto approssimativo nei suoi enunciati, ma anche evasivo, se non addirittura elusivo, in ordine al rapporto che si ritiene debba invece essere assicurato tra insegnamenti, titoli di accesso e formazione delle cattedre. 
E' appena il caso di far notare che, venuto meno ogni riferimento alla composizione delle cattedre, le confluenze e gli accorpamenti previsti appaiono alquanto sprovvisti delle garanzie di una stabile e certa loro efficacia, così come il mancato raccordo tra titoli di accesso, abilitazioni e materie di insegnamento rischia non solo di mettere a dura prova la professionalità dei docenti, ma pare destinata a generare equivoci e disorientamento all'atto della definizione degli organici. 
Il CNPI ritiene di conseguenza indispensabile una integrazione delle norme regolamentari e, nel contempo, sottolinea l‟urgenza di prevedere già nel regolamento una azione di monitoraggio finalizzata alla rilevazione dell‟efficacia degli insegnamenti sulla base della rinnovata articolazione delle cattedre e dei titoli di accesso all‟insegnamento, sulle cui modalità di conduzione e valutazione chiede il pieno coinvolgimento. 
Sarebbe altresì opportuno regolamentare anche aspetti meramente tecnici, quali quelli connessi agli insegnamenti cosiddetti atipici ed alla gestione delle graduatorie di classi di concorso oggetto di accorpamento. 
Infine una valutazione di merito ed una raccomandazione. In riferimento alla ventilata previsione di introdurre nel testo del provvedimento una norma relativa all'anagrafe dei docenti, il CNPI evidenzia innanzitutto che una sua eventuale collocazione nel Regolamento in esame non troverebbe alcuna espressione di legittimità. Esprime, inoltre, la sua contrarietà circa una eventuale introduzione di detta anagrafe, se destinata ad un utilizzo in contesti esterni all'Amministrazione, anche in altri provvedimenti. 
Per quanto attiene invece la raccomandazione, Il CNPI, in considerazione dei tempi indispensabili per la definitiva approvazione del provvedimento e di quelli previsti per la
definizione degli organici di diritto, rappresenta l‟opportunità di rinviare all'anno scolastico 2012/13 l‟applicazione delle nuove classi di concorso. Peraltro, una siffatta decisione consentirebbe di raccordare gli accorpamenti e le confluenze degli insegnamenti con 
l'emanando regolamento sulla formazione iniziale dei docenti e predisporre un organico piano di monitoraggio a garanzia della qualità dell‟istruzione ed a tutela dei diritti del personale docente. 


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giovedì 25 novembre 2010

GIOVANI: UNA STRAORDINARIA MOBILITAZIONE

Non ha precedenti recenti la forza della contestazione giovanile che in questi giorni sta occupando scuole, università, strade e piazze del nostro Paese: ieri (il 17 novembre) in cento città italiane, oggi in tutte le università per opporsi all’approvazione di una legge che ucciderebbe l’università statale e il diritto di istruzione. Ieri e oggi per impedire che il governo riduca in macerie la scuola, l’università, la ricerca e la cultura; ieri e oggi perché i giovani sono vittime di un’aggressione violenta e senza precedenti al loro futuro.

La protesta è quasi un’esplosione improvvisa, forte, consapevole ma anche piena di una rabbia, prodotta dalla situazione tragica che vivono milioni di giovani nel nostro Paese.

Oggi il 30% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro (nel Meridione si arriva a punte del 50%), rispetto al 2009 sono trecentomila in più (il 4,5%) il che significa che il calo complessivo dell’occupazione dell’ultimo anno riguarda per l’80% i giovani, vengono cioè licenziati anzitutto coloro che svolgono lavori precari.

Oggi il 22% dei giovani ( due milioni di giovani!) fra i 15 e i 29 anni non lavora e non frequenta alcun corso di studi (il dato è in continuo, preoccupante aumento), di questi circa 1/5 è in età scolare.

Oggi il 25% dei giovani fra i 18 e i 24 anni non possiede il diploma della secondaria superiore e sono 16 su cento gli espulsi dalla secondaria superiore nei primi due anni di iscrizione; oggi, mentre sono in calo le immatricolazioni all’università, solo il 18% dei giovani venticinquenni consegue una laurea di 4-6 anni provenendo in larghissima maggioranza (circa il 75%) dalle classi sociali più ricche e acculturate con l’esclusione massiccia di figli di lavoratori dipendenti e operai.

Lavoro, istruzione, diritti.

Se è vero che il 43% dei giovani svolge un lavoro meno qualificato rispetto al titolo di studio conseguito è altrettanto vero che il possesso di un titolo di studio è elemento decisivo per l’accesso al lavoro, per i diritti di cittadinanza. Lo riconoscono tutti: dalla CGIL, alla Banca d’Italia, a Confindustria, all’Istat…Il calo dell’occupazione giovanile nell’ultimo anno ha colpito per l’11,4% chi possedeva la licenza media, per il 6,9% chi possedeva il diploma della secondaria superiore, per il 5,2% la laurea; il tasso di occupazione dei laureati è quasi doppio di quello dei titolari di licenza elementare e rispettivamente del 24% e del 12% in più rispetto a chi possiede la licenza media e il diploma della secondaria superiore. Chi studia di più si ammala meno, delinque di meno, ha maggiore consapevolezza dei propri diritti.

Le scelte della destra cancellano il futuro

La destra al governo, pure ben consapevole di tutto questo, opera scelte contro il futuro di tutti.

Non attua alcun provvedimento, non investe un euro per il lavoro, per l’occupazione giovanile, contro il precariato, anzi “licenzia” decine di migliaia di precari nella scuola, nell’università, nella ricerca, nel pubblico impiego.

Taglia del 25% in quattro anni il bilancio statale di scuola, università e ricerca; controriforma la scuola italiana, abbassa l’obbligo di istruzione e ( in accordo con Confindustria!)consente di assolvervi mentre si lavora come apprendisti; colpisce mortalmente l’università statale tagliando contestualmente i fondi per il suo funzionamento ordinario e per il diritto allo studio e cancellando il diritto al lavoro di decine di migliaia di ricercatori precari. E’ così che si vuole trasformare il diritto di istruzione per tutti sancito dalla Costituzione in privilegio riservato a ristrette minoranze più ricche e già privilegiate.

Sta in questi numeri e in queste sciagurate scelte politiche l’aggressione violenta e senza precedenti al futuro delle giovani generazioni.

Vincere si può

Per questo la lotta è tanto forte e determinata. Oggi più di ieri questa lotta può conseguire dei risultati importanti, a partire dalla non approvazione della legge sull’università.

Potrà conseguirli anche perchè domani i giovani si incontreranno in piazza con i lavoratori, nella grande manifestazione nazionale della CGIL e, fra due settimane (l’11 novembre), la più grande forza dell’opposizione parlamentare sarà protagonista (si deve con la partecipazione di tutte le altre forze di sinistra e progressiste) di una grande mobilitazione nazionale contro il più pericoloso governo di destra della storia repubblicana.

Potrà conseguire dei risultati perché mai come ora la crisi di questa destra è stata tanto palese sia nella società che nelle aule parlamentari.

Una nuova strada è possibile.

Ma questa straordinaria mobilitazione giovanile indica una strada per il futuro. Perché “coloro che verranno” operino una inversione di rotta nelle scelte politiche nazionali eleggendo il diritto al sapere e al lavoro come le due grandi priorità politiche che fondano il futuro di uguaglianza, di democrazia, di sviluppo del paese e i diritti dei cittadini e delle persone. Così dice la Costituzione italiana.

Il 10% della popolazione ha il 45% della ricchezza nazionale: si deve ridistribuirla.

Non esiste alternativa alcuna a questa scelta strategica. E per realizzarla una sola è la strada percorribile: avviare finalmente un processo di redistribuzione della ricchezza nazionale. Ovvero fare sì che il 10% della popolazione che detiene il 45% della ricchezza nazionale ne ceda una parte consistente all’intera società. Perchè venga destinata alla creazione di lavoro a tempo indeterminato, alla stabilizzazione del lavoro precario, all’aumento dei salari, al rispetto e alla realizzazione dei diritti ; perché venga investita in sapere, in istruzione, nell’università e nella ricerca, per realizzare riforme (queste sì, riforme) del nostro sistema formativo che consentano a tutti i giovani del nostro paese di avere un’istruzione qualificata, obbligatoria e gratuita almeno fino a 18 anni e ai capaci e meritevoli, non ai più ricchi, di accedere ai gradi più alti degli studi.

Il primo provvedimento immediatamente realizzabile, ai fini della redistribuzione, è quello della tassazione al 10% dei capitali esportati illegalmente all’estero e condonati grazie al famigerato scudo fiscale. Entrate per lo Stato, dieci miliardi. Destinazione prevalente: scuola, università, ricerca scientifica, stabilizzazione del lavoro precario.

Seguono altri provvedimenti da tempo noti e relativamente “semplici” visto che sono stati realizzati in tutti i paesi avanzati: una tassazione adeguata delle grandi ricchezze e delle rendite finanziarie alla pari degli altri paesi europei; una lotta senza quartiere all’evasione fiscale che per quantità e qualità in Italia è unica al mondo! Se ben si vede si tratta di imporre un’equa tassazione a chi ha accumulato enormi ricchezze commettendo gravi reati a danno della società (esportazione illegale di capitali all’estero, evasione fiscale) che in altri paesi sono puniti anche col carcere.

E, infine, una riduzione della spesa militare, un taglio agli inutili e costosissimi “Euroflyght” e alla presenza in Afghanistan.

Un impegno preciso su questi temi anche da parte delle forze politiche di opposizione parlamentare costituirebbe un segnale di nuova speranza, di fiducia, di incoraggiamento alla battaglia che si sta conducendo per il futuro delle giovani generazioni e di tutto il Paese.

Piergiorgio Bergonzi - resp. nazionale scuola PdCI- Federazione della sinistra

25 novembre ‘10


domenica 14 novembre 2010

Nuovi finanziamenti alle scuole private ed ulteriori tagli alla scuola statale: contrastiamo questo vergognoso appalto dell’istruzione pubblica.

Mentre in Parlamento e nei media si discute della crisi del Governo Berlusconi, questo stesso Governo, con un atto d’inquietante arroganza, incurante delle proteste che da tutte le componenti della scuola pubblica si levano contro le politiche dei tagli ed il processo di privatizzazione di tutto il comparto dell’istruzione, ha emanato una serie di decreti in finanziaria che limitano ulteriormente il diritto allo studio e che continuano a favorire la scuola parificata a svantaggio di quella statale.
Drastica riduzione del contributo per i libri di testo, circolare ministeriale nella quale si obbligano i dirigenti scolastici a non esercitare alcuna critica nei confronti del ministero, nuovo finanziamento di duecentoquaranta milioni di euro per le scuole parificate - dopo che nella scuola pubblica, per ragioni “cosiddette di bilancio” sono stati tagliati 8 miliardi di euro – evidenziano con chiarezza come la decisione di tagliare nella pubblica istruzione scaturisca da una volontà consapevole e precisa: sostenere con tutti i mezzi disponibili la privatizzazione della scuola e, di conseguenza, contrastare il principio costituzionale per cui debbono essere rimossi gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana.
Come coordinamento delle scuole secondarie di Roma denunciamo l’ennesima rinuncia da parte dello Stato a perseguire le finalità formative universali per cui sono destinati i fondi per l’istruzione a favore dell’accettazione di una logica lobbistica per cui, quando un Ente privato fa pressioni sul Governo vengono immediatamente messe a disposizione somme ingenti di denaro pubblico a suo vantaggio. Rivendicando lo spirito della Costituzione Repubblicana per cui l’istruzione privata può essere esercitata ma senza oneri per lo Stato, ribadiamo la nostra decisa indignazione per l’ennesima scelta di garantire finanziamenti pubblici alle scuole parificate, in particolare in un momento come quello attuale in cui la scuola statale in tutte le sue componenti (genitori, studenti, insegnanti) sta subendo il più feroce attacco della storia repubblicana.
Per questo motivo invitiamo tutte le componenti della scuola a condividere con noi questo legittimo sentimento d’indignazione e, in qualità di cittadini della Repubblica Italiana, a diffondere questo documento in tutte le sedi possibili (collegi docenti, assemblee studentesche e sindacali, etc) e a costruire unitariamente iniziative pubbliche su tutto il territorio che denuncino questa vergognosa operazione di consapevole impoverimento dell’istruzione pubblica congiunta all’inutile e provocatorio finanziamento alle scuole private.

sabato 6 novembre 2010

NIENTE SOLDI AI LIBRI DI SCUOLA

Il governo riprova il blitz fallito nel 2009 e cancella il fondo da 103 milioni. Lo scorso anno le risorse erano ricomparse nel decreto di Natale, ma questa volta sarà più difficile

Nel 2011 il governo non ha previsto i fondi per rendere gratuiti i libri testo delle scuole dell’obbligo. Dopo il tentativo fallito in extremis dodici mesi fa, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ci riprova e cerca di far saltare una delle misure caratteristiche della scuola pubblica dal 1967, cioè il fondo per i libri destinato ai bambini provenienti da famiglie meno abbienti, che serve a garantire il diritto allo studio a tutti i ragazzi. Il capitolo di bilancio della legge Finanziaria che prevede lo stanziamento di 103 milioni per la gratuità dei libri scolastici è stato nuovamente tagliato e ridotto a zero per il prossimo anno.  Se le cose resteranno come sono, e non ci sarà uno stanziamento ulteriore nell’annunciato decreto di Natale, tutte le famiglie che mandano i bambini alle primarie (o che sfruttano il comodato d’uso gratuito nella scuola superiore) saranno costrette a sborsare i soldi per i libri di tasca propria.
Ma quella dei libri non è l’unica misura del piano governativo: il fondo per il diritto allo studio nelle scuole dell’obbligo viene ridotto di oltre il 70 per cento. In questo modo solo il 30 per cento di chi non può permettersi di studiare potrà farlo, per i bambini delle altre famiglie in difficoltà economiche l’istruzione sarà a rischio. Nello stato di previsione del ministero dell’Economia, alla voce “sostegno all’istruzione” sono calcolati solo 33,1 milioni di euro tra le somme da trasferire alle Regioni per le borse di studio. La riduzione rispetto all’anno scorso è quindi di 84,2 milioni di euro. Mentre in quello del ministero dell’Università e la Ricerca, il diritto allo studio nell’istruzione universitaria viene ridotto a 25,7 milioni da 100, tagliando 74 milioni. Con l’aggravante che le Regioni, a loro volta, stanno riducendo i finanziamenti a questo genere di misure a causa dei tagli agli enti locali. Il computo dei tagli che la Finanziaria porterà a scuola e università è stato calcolato dai deputati del Partito democratico che fanno parte della commissione Cultura e che ieri si sono visti respingere tutti gli emendamenti che rifinanziavano questi fondi. Nello specifico hanno registrato una riduzione di 123,3 milioni di euro per l’istruzione prescolastica e di 780,1 milioni di euro per l’istruzione primaria. Per l’istruzione secondaria di primo grado e di secondo grado vengono ridotte rispettivamente di 208,3 milioni e di 841,6 milioni di euro, mentre per l’istruzione post-secondaria, (quella per gli adulti) il taglio è di 7,8 milioni di euro.
In commissione Cultura, a Montecitorio, la discussione ieri è salita di tono e l’Italia dei Valori ha deciso di abbandonare i lavori per protesta. “É stato l’ennesimo atto di arroganza da parte di questo governo – racconta Pierfelice Zazzera, capogruppo Idv in commissione – e di questa maggioranza nei confronti del Parlamento e delle minoranze. Non solo il rappresentante del governo si è presentato con un’ora di ritardo ma, fatto ancor più grave, è stato impedito alle minoranze di parlare. Per questo, abbiamo abbandonato i lavori”. Il Partito democratico denuncia: “Con un colpo secco – dice la capogruppo in commissione Cultura Manuela Ghizzoni – il governo ha abolito la gratuità dei libri di testo nella scuola elementare per il 2011 e ridotto di oltre il 75 per cento i fondi per le borse di studio nelle università. Abbiamo dovuto lottare per ottenere dieci milioni per l’edilizia delle residenze universitarie. É inaccettabile”.
Anche lo scorso anno le proteste erano state analoghe e, sotto pressione, alla fine il governo aveva trovato i 103 milioni di euro mancanti nel decreto milleproroghe natalizio. Questa volta sarà più difficile, perché il decreto di fine anno varrà sette miliardi ma gran parte di questi soldi sono già stati promessi in quello che Tremonti definisce “Piano sviluppo”. Al ministro della Cultura Sandro Bondi servono soldi per il fondo per lo spettacolo, Stefania Prestigiacomo reclama 100 milioni per il dicastero dell’Ambiente, poi ci dovranno essere gli 800 milioni di copertura finanziaria della riforma universitaria. E trovare le risorse per i libri di testo gratuiti sarà ancora più arduo che nel 2009.

Da Il Fatto Quotidiano del 28/10/2010

mercoledì 3 novembre 2010

Napoli, 30 ottobre, convegno “Scuola pubblica: quale futuro?” “Titolo V della Costituzione, regionalizzazione, federalismo fiscale: un cortocircuito?”

intervento di di Anna Angelucci

Non c’è limite alla ferocia con cui questo governo sta smantellando la scuola pubblica. La tempistica è quella indicata dal piano programmatico attuativo della legge 133 del 2008: tre anni.
Entro la fine del 2011, studenti e lavoratori devono essere messi in condizione di non nuocere. Per quella data la scuola pubblica deve essere dismessa: niente più costi da sostenere per un esecutivo che vede nella scuola, nell’università, nella ricerca e nella cultura solo spese superflue e dannose, da estirpare alla radice.
Il taglio complessivo di 8 miliardi di euro, l’espulsione di 130.000 lavoratori precari, il congelamento del miliardo e mezzo di crediti residui, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la centralizzazione del fondo d’istituto che mette a rischio la retribuzione integrativa, il mancato rinnovo delle RSU, i disegni di legge Aprea e Goisis che aboliscono gli organi collegiali, privatizzano i consigli d’istituto, aziendalizzano le scuole, regionalizzano i contratti dei lavoratori e personalizzano i rapporti di lavoro a tempo determinato sono altrettanti tasselli di un mosaico che prevede un futuro senza scuola pubblica e che disegna, agli albori del III millennio, una società iniqua, antidemocratica, involuta, classista.
Evidentemente, la società ideale per chi ci governa, che ci vorrebbe avidi consumatori di merci, inconsapevoli di noi stessi e dello spazio che ci circonda, privi di memoria storica, inabili al pensiero critico, contenitori passivi del nulla che le immagini delle televisioni di chi ci governa, quotidianamente, ci impongono.
Insieme alla stampa e alla magistratura, vogliono ridurre al silenzio e all’impotenza uno dei luoghi fondativi del sapere libero e della libera circolazione delle idee, quel luogo in cui ciascuno di noi, bambino e poi adolescente, ha scoperto se stesso, ha conosciuto i propri diritti e i propri doveri, ha sperimentato le proprie debolezze e la propria forza, si è confrontato con l’altro da sé, ha costruito la sua identità, forgiato il proprio carattere: la scuola pubblica, baluardo di partecipazione, integrazione, pluralismo, democrazia.
Cancellare la scuola pubblica significa cancellare, di fatto, princìpi fondamentali della nostra Costituzione; princìpi civili, etici e sociali: art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; art. 33 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.[...]; art. 34 “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto, con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attibuite per concorso”.
Ecco in che modo, oggi, il governo rende effettivo questo diritto: il capitolo di bilancio della legge finanziaria che prevede lo stanziamento di 103 milioni per la gratuità dei libri scolastici è stato nuovamente tagliato e ridotto a zero per il prossimo anno.
Ma anche il ‘Fondo per il diritto allo studio’ nelle scuole dell’obbligo viene ridotto di oltre il 70 per cento. In questo modo solo il 30 per cento di chi non può permettersi di studiare potrà farlo; per i bambini delle altre famiglie in difficoltà economica l’istruzione è a rischio.
Nello stato di previsione del ministero dell’Economia, alla voce ‘Sostegno all’istruzione’ sono calcolati soltanto 33 milioni di euro tra le somme da trasferire alle Regioni per le borse di studio, con una riduzione rispetto all’anno scorso di 84 milioni di euro, mentre in quello del MIUR il diritto allo studio nell’istruzione universitaria viene ridotto da 100 a 25,7 milioni, con un taglio di più di 74 milioni di euro. E tutto questo con l’aggravante che le Regioni, a loro volta, stanno anch’esse riducendo i finanziamenti all’istruzione a causa dei tagli agli enti locali.
Ecco dunque l’entità dei tagli con cui l’ultima Finanziaria falcidierà la scuola pubblica: 123 milioni di euro in meno per l’istruzione prescolastica, 8 milioni di euro in meno per l’istruzione degli adulti; 780 milioni di euro in meno per l’istruzione primaria, 208 milioni di euro in meno per l’istruzione secondaria di primo grado, 841 milioni di euro in meno per quella di secondo grado. Per un totale di circa 2 miliardi di euro rubati alla scuola, cioè agli studenti, alle famiglie, ai lavoratori, ai cittadini italiani, a tutti noi.
Non possiamo accettare tutto questo senza reagire: la scuola pubblica esercita una funzione istituzionale irrinunciabile, finalizzata alla formazione dei giovani, all’esercizio di una cittadinanza attiva, inclusiva, laica, democratica. Oggi, il combinato disposto tra federalismo fiscale e nuovo titolo V della Costituzione ci mette drammaticamente di fronte a una nuova emergenza: la rottura del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione italiana, la rottura del principio di solidarietà nazionale, la rottura del carattere unitario del nostro sistema scolastico, garanzia di pari opportunità e di pari dignità culturale e sociale per tutti i cittadini.
Se è giuridicamente ineccepibile, in forza del nuovo art. 114, che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, non è né giuridicamente né eticamente accettabile che allo Stato resti, per ciò che concerne la scuola, la legislazione esclusiva delle sole “norme generali sull’istruzione” e la sola “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117), quei diritti civili e sociali che, nella loro ricchezza, articolazione e complessità, è proprio la scuola, in primis, a insegnare ai bambini e agli adolescenti, perché il tema dei diritti civili e sociali è il cardine dell’insegnamento scolastico, è il pane quotidiano di chi parla ogni giorno ai propri studenti nelle proprie classi, è il terreno fertile su cui costruiamo la cultura, la consapevolezza, il pensiero critico dei nostri futuri concittadini italiani.
Noi non vogliamo che lo Stato si limiti a garantire i ‘livelli essenziali delle prestazioni’, mentre le Regioni e gli enti locali, o perché, seppure virtuosi, privati dei finanziamenti o perché governati da beceri arruffoni prezzolati, concorrono alla “soluzione finale” del sistema-scuola!
Noi rigettiamo la definizione riduttiva e mercantilistica assegnata all’istruzione da una riforma costituzionale che non piace a illustri giuristi e neppure al Presidente della Repubblica, e che, nell’attuale deformazione federalista di matrice leghista, quella più bieca e egoista, “non solo modifica l’organizzazione politica dello Stato, ma vìola principi di solidarietà (art.2), unità, indivisibiltà (art.5) che sono immodificabili”*.
Oggi, e mi avvio a concludere queste mie riflessioni, come se non bastasse, stiamo per assistere
anche alla dismissione del nostro patrimonio edilizio scolastico. 14.700 edifici, 10.000 dei quali con necessità urgente di interventi straordinari, stanno per essere ceduti (in comodato d’uso o attraverso la costituzione di Spa) ai privati**. Con l’intervento del Ministero degli affari Regionali e l’assenso della Conferenza Unificata delle Regioni e dei Comuni, cordate di privati, con diritto di prelazione da parte delle casse di previdenza, potranno acquisire gli edifici, ora nostri, che ospitano i nostri 8 milioni di studenti, costringendo gli enti locali, cioè noi, a pagare il fitto per le ex nostre scuole, quelle scuole che già abbiamo pagato, come genitori e come docenti, con le nostre tasse, con i nostri contributi volontari, con i nostri sacrifici, con il nostro blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, con i nostri licenziamenti......
Noi, oggi, da quest’aula e da questa piazza, a nome di tutti gli studenti, i lavoratori e i cittadini italiani, diciamo NO. Noi, oggi, a questo governo diciamo NO. Diciamo NO.
No alla frantumazione e alla privatizzazione della scuola e del sapere, realizzate attraverso l’abbattimento dell’impianto unitario della scuola pubblica italiana, attraverso pseudo-riforme spacciate per “epocali”, che sottraggono quantità e qualità alle scuole di ogni ordine e grado, attraverso ddl (Goisis, Aprea) che regionalizzano i contratti dei lavoratori, personalizzano il reclutamento dei docenti rendendolo discrezionale, e aziendalizzano un’istituzione sancita dalla Costituzione!
Noi non accetteremo inerti che la scuola pubblica, che dovrebbe essere rivitalizzata e valorizzata attraverso massicci investimenti che la qualifichino ai massimi livelli europei, venga al contrario smantellata pezzo per pezzo, non accetteremo inerti che gli studenti del Duemila siano privati in tutto o in parte del loro irrinunciabile diritto allo studio, che gli alunni con bisogni speciali e i disabili siano abbandonati a se stessi, che i lavoratori precari della scuola siano licenziati e che quelli stabili siano depredati, ricattati e precarizzati!
Noi difenderemo la scuola pubblica italiana, che in molti dei suoi ordinamenti viene apprezzata
e presa a modello in tante parti del mondo, e la difenderemo dal basso, lavoratori insieme agli studenti, ai genitori e a tutti i cittadini che saranno con noi, insieme a tutte quelle forze politiche e sindacali che sono qui, con noi, ora e che non languiscono nel loro ‘cupio dissolvi’; la difenderemo contro qualunque attacco e con tutte le nostre forze fisiche e intellettuali.
La scuola pubblica italiana che vogliamo e che abbiamo sempre voluto: statale, pluralista, laica, democratica e libera.

Anna Angelucci

* F. Imposimato, La riforma federalista e l’emergenza democratica, Il Ponte, settembre 2009
** R. Sommella, Fitto proverà a cedere le scuole, MF Milano Finanza, 2 ottobre 2010

domenica 24 ottobre 2010

Ultima settimana per adottare le Liste "In difesa della scuola pubblica e statale (manifesto della buona scuola)"

La scadenza per la presentazione delle Liste è il 30 ottobre.

Si ricorda che ciascuna lista può contenere da un minimo di un candidato ad un massimo di candidati pari al doppio di quelli che può eleggere: per genitori e studenti quindi da un minimo di uno ad un massimo di otto; per i docenti da un minimo di uno ad un massimo di sedici. L'importante è realizzare il maggior numero di Liste "In difesa della scuola pubblica e statale (manifesto della buona scuola)"
Intanto continuano riunioni ed assemblee nelle scuole per verificare se esistono le condizioni per presentare tali Liste.

LISTA “In Difesa della Scuola Pubblica e Statale”

(Manifesto della Buona Scuola)

Il diritto allo studio uguale per tutti, senza distinzione di razza, religione o sesso è uno dei pilastri su cui si fonda una società civile e la nostra Costituzione all’art. 34 sancisce questo diritto universale.

La partecipazione agli Organi Collegiali è strumento di alta democrazia all’interno della Scuola.

“La scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica…” (da un discorso di Piero Calamandrei del febbraio 1950)

Diritti + Democrazia = Scuola Pubblica = Buona Scuola

In questo momento storico in cui assistiamo ad un attacco continuo ed incalzante alla Scuola Pubblica, con sottrazione di risorse economiche ed impoverimento di contenuti e qualità, riteniamo che dare forza agli Organi Collegiali sia di fondamentale importanza e rappresenti un diritto/dovere contro la minaccia di trasformazione delle scuole di ogni ordine e grado in fondazioni.

Per questo vogliamo:

Ø Impegnarci con una partecipazione assidua e concreta al Consiglio d’Istituto e assicurare la massima informazione sul suo operato

Ø Essere in continuo contatto con i comitati studenteschi e dei genitori per arricchire la discussione con i loro contributi

Ø Controllare la trasparenza del bilancio

Ø Vigilare sul corretto impiego del contributo volontario ed impegnarci con azioni per il recupero dei crediti al fine di poter azzerare o almeno diminuire la quota a carico delle famiglie

Ø Controllare la spesa per i testi scolastici e proporre iniziative alternative volte a contenerla (ad es. comodato d’uso, autoproduzione di dispense, testi in formato elettronico)

Ø Vigilare sul rispetto della normativa sulla sicurezza (in particolare sullo stato degli immobili e sul numero di alunni per classe)

Ø Difendere il tempo scuola e la pluralità dei docenti (per scuola elementare e media)

Ø Collaborare alla formazione del Pof ed altre attività finalizzate a garantire la qualità e la continuità della didattica (criteri di formazione delle classi, di redazione dell’orario, dell’assegnazione dei docenti, modalità di ricevimento degli insegnanti, etc)

SOSTENIAMO TUTTI INSIEME LA SCUOLA PUBBLICA E STATALE

martedì 19 ottobre 2010

Parte l'era della scuola Spa. Privatizzare edilizia, mensa e aggiornamento dei docenti

DA: ORIZZONTE SCUOLA:

Dalla "scuola azienda" alla "scuola gestita da un'azienda". Un passo avanti. La notizia apparsa sul Sole24Ore ha svelato il senso delle parole della Gelmini [1] pronunciate durante l'informativa sull'inizio dell'anno scolastico, quando il ministro ha annunciato la possibilità di fondi ''anche da enti privati'' per affrontare l'emergenza soprattutto dell'edilizia al Sud. L'emergenza potrebbe essere affrontata consegnando ad una Spa la proprietà degli edifici scolastici. Sicuri sia un buon affare per il Sud?

Una operazione dalla portata storica che consegnerebbe nelle mani di una società privata la proprietà degli edifici che verrebbero affittati agli enti locali.

Ma andiamo oltre, facciamo qualche ipotesi. Chi saranno questi azionisti della "Scuola SPA"? Facile intuire che si tratterà di
soggetti del Nord che possiederanno le scuole anche del Sud e ai quali si pagheranno gli affitti, con soldi pubblici.

In base a cosa si deciderà il canone di affitto? Qui bisognerà fare utile, è chiaro che maggiori saranno le spese di gestione della scuola, maggiore sarà il canone. E chi non potrà permettersi di pagare l'affitto? Si pensi agli indebitati enti locali del Sud.

Sicuri che sia un buon metodo per risolvere il problema dell'edilizia scolastica, soprattutto al Sud (per citare Tremonti e Gelmini)?

No! Soprattutto se non sarà colmato il gap nell'edilizia tra Nord e Sud, attraverso investimenti provenienti dai fondi Fas (che spettano al Sud per definizione) o attraverso fondi provenienti da un fondo di perequazione per le infrastrutture da prevedere nella legge finanziaria (attualmente negato). Quindi consegnare, se proprio non se ne può fare a meno, nelle mani di Spa regionali (con le regioni come azionisti di maggioranza), e non di un'unica "nazionale" (con azionisti
esclusivamente padani), la proprietà delle scuole. Forse così potrebbe essere un "buon affare" anche per il Sud.

domenica 3 ottobre 2010

Sindacati uniti in piazza

Il Fatto Quotidiano, domenica 26 settembre.
Marina Boscaino

Ci pensate? Da più di 2 anni la scuola italiana è in mobilitazione permanente. Vuoi nelle modalità collaborative e collegiali che
appartengono alla bella cultura della scuola primaria, vuoi nella dimensione sfrangiata e quasi balbettante -spesso individuale - che ormai da tempo caratterizza la superiore, la scuola protesta.
È vero, sono stati i precari a restituirle la dignità del risveglio da lungo torpore; dallo stato di acquiescenza passiva che ne ha caratterizzato gli ultimi anni e ha confermato pericolose tendenze a divorare energie volontaristiche, entusiasmi a costo 0, che hanno tenuto a galla il sistema dell'istruzione, punte di diamante di una professionalità in declino, costretta da scelte bipartisan – prima tra tutte l'autonomia degli istituti – a convertire genuine vocazioni didattiche a logiche del mercato e a
improvvide dimensioni pseudo-manageriale.
Elemento neutro per gli strateghi del MIUR – Gelmini, nonostante interrogazioni parlamentari, scioperi della fame, scuole al collasso continua nel suo silenzio autoreferenziale, confrontandosi solo con media compiacenti o interlocutori fidati -, la protesta ha riattratto la parte della società civile che avverte il disagio (attraverso le “disavventure” dei figli incappati nella “epocale riforma” o per sensibilità all'agonia del più grande potenziale di crescita e uguaglianza di un Paese civile e democratico) del presente. Varie le strategie di sensibilizzazione dei collegi docenti più motivati e responsabili: è bene, infatti, che più “utenti” (sic!) possibile capiscano che i tagli sul sistema-scuola non sono soltanto l'allontanamento
coatto di 140.000 donne e uomini senza nome e volto. Ma si abbattono tragicamente sul funzionamento delle scuole.
Non sto parlando di bonifica dall'amianto o messa in sicurezza degli istituti: sono progetti per un altro mondo, un'altra vita. L'impoverimento nella scuola di tutti i giorni si tocca con mano: -72.4% i fondi per le supplenze; -50% i fondi per didattica e amministrazione; -25% per le pulizie. Il debito che il ministero ha contratto con gli istituti ammonta a 1,5 mld. Le scuole sono al collasso e si sostengono con gestioni virtuose dei pochi fondi che arrivano e al cosiddetto “contributo volontario” delle famiglie, che ormai è una tassa (anche se non si configura come tale), di ammontare variabile e oggi sempre più adoperata per la gestione ordinaria. Che cosa succederebbe se – improvvisamente – le famiglie italiane decidessero di appellarsi alla “volontarietà” del pagamento e smettessero di versare, è facilmente immaginabile. Altrettanto immaginabile è cosa
succederà se – come si sta proponendo – i docenti decideranno di smettere di fare attività aggiuntive; non accettare più nelle proprie classi studenti privi di sorveglianza di un docente assente; non organizzare viaggi di istruzione; non aumentare il proprio orario contrattuale assumendosi gli spezzoni precedentemente assegnati ai precari, motivati e non sovraccarichi delle canoniche 18 ore: è questa, infatti, la faccia più triste della strategia di “risparmio” che vari dirigenti scolastici attuano in
mancanza di nomine. Il collasso definitivo, ecco cosa succederebbe. E l'impoverimento dell'offerta formativa andrebbe a ricadere in primo luogo sugli alunni. Ecco la consapevolezza di un governo che sta facendo leva sulla sindrome del volontariato da cui molte scuole e molti docenti sono affetti.
Perché dovremmo cercare di attutire il disagio, di nascondere le
difficoltà, che la “cura da cavallo” Gelmini-Tremonti ha creato nelle scuola e che si amplificano di anno in anno? È davvero civicamente responsabile ammortizzare i colpi del malgoverno e dello spregio che questa classe dirigente ha per la scuola pubblica? Io una risposta l'avrei. E molti che come me in questi anni si sono mobilitati. Chiediamo ai più sensibili interlocutori dei lavoratori della scuola – la Cgil, i Cobas e altri sindacati di base– di trovare punti di convergenza per una giornata di
sciopero unitario. Quelli che firmano ai tavoli, quelli che hanno chiuso un occhio e poi tutti e due rispetto all'arbitrio e alla dismissione, non ci interessano. È ora di silenziare vecchi dissapori e antichi attriti. E prepararsi a fronteggiare – insieme - emergenze immediate e progetti di attacco a libertà di insegnamento e diritto alla dignità del lavoro. Tutta la scuola democratica si impegni a condurre con maggiore unità le proprie convinte battaglie di principio, spesso condivise. È l'esigenza di moltissimi.

domenica 26 settembre 2010

La scuola con l'elmetto: è questa la scuola che vogliamo per i nostri figli?

Agli studenti insegneremo a mirare, sparare e tirare con l'arco.

La notizia è stata raccolta da FamigliaCristiana.it: è questa la scuola che vogliamo?
Per ora si sa solo che gli studenti saranno organizzati in "pattuglie" come quelle che girano per le strade dell'Afghanistan. Gli verrà insegnato a mirare, sparare e tirare con l'arco. Non gli verrà chiesto di combattere i talebani ma solo di sbaragliare tutti gli avversari. Non sappiamo quale premio verrà riconosciuto ai vincitori. Si sa che vincitori e vinti riceveranno un bel Credito formativo scolastico.

In base al Protocollo d'Intesa, siglato a Milano alla vigilia della Giornata Internazionale della Pace, dal Comando Militare Esercito Lombardo e dal Provveditore Regionale Scolastico della Lombardia, gli studenti delle medie e delle superiori della regione verranno incoraggiati ad "allenarsi per la Vita" partecipando ad un programma di formazione e di educazione teso ad avvicinare i giovani alle forze armate.

Il programma di "addestramento" e di avvicinamento degli studenti alle Forze Armate prevede naturalmente percorsi ginnico-militari, arrampicate, attività di orientamento e di primo soccorso, nuoto e salvamento. Non mancheranno "lezioni teoriche" di propaganda militare che il Comando Militare Lombardo suggerisce di inserire nell'attività scolastica di "Diritto e Costituzione" (N.B.: l'insegnamento a cui si fa riferimento è "Cittadinanza e Costituzione" ma forse in Lombardia la parola "Cittadinanza" ha un significato controverso e si è deciso di ometterla).

Il progetto si propone di "allenare i giovani alla vita" e promuovere "la conoscenza e l'apprendimento della legalità, della Costituzione, delle Istituzioni e dei principi del Diritto Internazionale" sottolineando "l'importanza del benessere personale e della collettività attraverso il contrasto al "bullismo". Da notare il passaggio dal "bullismo" a scuola al "nonnismo" delle caserme.

A questa straordinaria offerta formativa ed educativa delle Forze Armate, ai giovani studenti lombardi si aggiunge un "concorso civico - letterario" che - ci tiene a precisare il Generale Milato a capo del Comando Militare Esercito Lombardo - "a differenza delle precedenti edizioni che contemplavano esclusivamente degli elaborati scritti aventi come tema delle lettere ad amici militari impegnati in Operazioni di Pace, sarà vario e diversificato, basato sul 150° dell'Unità d'Italia". I premi ammontano a 60.000?.

E' questa la scuola che vogliamo per i nostri figli?

Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace

Perugia, 23 settembre 2010

venerdì 24 settembre 2010

Interrogazione parlamentare sul tempo pieno: il sottosegretario ammette che ci sono 600 classi in meno

Il sottosegretario Guido VICECONTE risponde all'interrogazione del 9 giugno 2010 in titolo nei termini
riportati in allegato (vedi allegato 8).

TESTO DELLA RISPOSTA

Con l'atto parlamentare in discussione l'onorevole interrogante lamenta in primo luogo la
mancata pubblicazione dei dati concernenti gli orari scolastici settimanali, relativi agli
anni scolastici 2008/2009 e 2009/2010, chiede inoltre quale sia il numero degli studenti
che nell'anno in corso non frequenta più moduli con orari da 31 a 39 ore, con mensa o
senza mensa, ed infine sulla base di quali conteggi siano stati divulgati i dati relativi al
tempo pieno.
In merito al primo punto, faccio presente che l'attività di rilevazione viene principalmente
effettuata per fornire all'Amministrazione la conoscenza dei fenomeni che
quantitativamente interessano il mondo scolastico, con il fine precipuo di realizzare uno
strumento di supporto alle decisioni. Di anno in anno, poi, vengono pubblicate solo quelle
rilevazioni che si ritiene di maggior interesse per una diffusione esterna
all'Amministrazione.
Per quanto riguarda gli alunni che nel corrente anno scolastico 2009/2010 non
frequentano più, rispetto all'anno precedente, moduli con orario di insegnamento da 31 a
39 ore settimanali, va evidenziato, in primo luogo, che da questo anno scolastico le prime
classi risultano articolate con una organizzazione oraria diversa da quella dell'anno
scolastico 2008/2009, a seguito dell'entrata in vigore del regolamento sulla scuola
dell'infanzia e il primo ciclo di istruzione, emanato con decreto del Presidente della
Repubblica n. 89 del 2009, il quale prevede orari di funzionamento di 24, 27, 30 e 40 ore
settimanali. Pertanto, alle famiglie, in occasione dell'iscrizione degli alunni, non è stata
offerta, da parte delle scuole, l'opportunità di scegliere il modello 31-39 ore settimanali.
Per le classi successive alla prima, invece, è stato possibile mantenere tale articolazione
settimanale dell'orario, per effetto della modalità utilizzata nell'assegnazione
dell'organico, nella misura di 30 o di 40 ore settimanali. Per cui, nel caso in cui nella
scuola fosse stato prescelto l'orario di 27 ore settimanali, l'economia di 3 ore (da 30 a 27)
ha consentito di continuare in parte con l'orario 31/39 ore settimanali. La riduzione delle
ore di compresenza nella determinazione dell'organico ha causato una modestissima
diminuzione degli alunni del modello 31/39.
Le risorse di posti determinate a seguito della sottrazione alle scuole delle ore di
compresenza hanno consentito l'ampliamento dell'offerta di tempo pieno, per 40 ore
settimanali. Ricordo che l'eliminazione delle compresenze è stabilita dal suddetto decreto
del Presidente della Repubblica n. 89 del 2009, che consente l'utilizzazione delle ore di
compresenza (4 ore per classe) per estensione dell'orario a 40 ore nonché per consentire
l'orario oltre le 30 ore settimanali. In tal modo, anche se le classi non - sono codificate «a
tempo pieno», continuano a funzionare con il modello delle 40 ore recuperando le ore di
compresenza. Quindi, anche se risultano circa 600 classi prime codificate a tempo pieno
in meno rispetto all'anno precedente, in effetti con un razionale utilizzo delle risorse di
istituto (compresenze, ore recuperate dalla presenza del docente di lingua e di religione)

viene mantenuta l'offerta invariata.
Quanto al mancato soddisfacimento integrale delle richieste delle famiglie, la situazione
non è diversa da quella dei pregressi anni in cui si è sempre verificata una richiesta di
gran lunga superiore alle effettive disponibilità di organico. Preme precisare che il tempo
pieno può essere assegnato solo se la disponibilità di organico lo consenta. Rispetto
all'andamento degli ultimi 10 anni, in cui l'incremento del tempi pieno si è attestato
annualmente intorno allo 0,5 per cento nazionale, nel decorso anno 2009/2010 aumento è
stato vicino al 2 per cento. Per il prossimo anno scolastico, in considerazione del
mantenimento delle classi a 40 ore, come prima detto, si conferma aumento quasi nella
stessa percentuale.
Infine, circa i dati divulgati nel comunicato stampa del 17 maggio 2010, preciso che i
conteggi sono stati effettuati utilizzando i dati risultanti dalle procedure di gestione
dell'organico presenti nel sistema informativo del Ministero.

5-03021 Ghizzoni: Sui dati relativi all'aumento delle classi «a tempo pieno».

Manuela GHIZZONI (PD), replicando, si dichiara profondamente insoddisfatta della
risposta alla sua interrogazione che poneva tre facili quesiti al Governo, ma non ha avuto
alcuna soddisfazione in nessuno di essi. Sottolinea infatti che l'atto ispettivo chiedeva
all'Esecutivo dati e cifre precise di riscontro alle affermazioni del Ministro fatte il 17
maggio scorso, sena ricevere alcuna risposta; al riguardo si afferma addirittura che i
dati delle rilevazioni sono pubblicati solo se ritenuti di maggiore interesse da parte
dell'amministrazione stessa. La risposta evidenzia poi, da una parte, che le classi da 31 a
39 ore non sono più esistenti, mentre dall'altra sottlinea che ne sono state create nuove,
segnalando peraltro che in totale sono modestamente diminuite. Stigmatizza inoltre il
fatto che non si forniscono cifre ma vaghe valutazioni sui quesiti posti, specificando
solo che, nel complesso, vi sono 600 classi in meno di tempo pieno. Sottolinea quindi
ancora una volta l'importanza di avere risposte chiare e circostanziate alle interrogazioni
non difficili, ma utili, poste dai parlamentari. Evidenzia d'altra parte che i dati richiesti
servono a tutti e non solo a chi propone l'interrogazione, per avere un quadro di
valutazione più dettagliato dell'organizzazione della scuola italiana, seppure in tempi
difficili.

Valentina APREA, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni
all'ordine del giorno.

mercoledì 22 settembre 2010

lunedì 20 settembre 2010

Alcune osservazioni sugli indicatori OCSE sull'istruzione

Dall'ultimo outlook dell'OCSE sui sistemi educativi si evince che, in media, i paesi industrializzati spendono circa il 6,5 % del loro PIL e circa il 13,5 della spesa pubblica totale, mente l'italia spende rispettivamente il 4,5 e il 9%.
L'outlook ci dice inoltre che il 70% della spesa scolastica va in stipendi dovunque, confermando che l'affermazione che l'italia spenderebbe troppo in stipendi è prive di fondamento, visto che la nostra percentuale è sì più alta, ma davvero di poco (l'80%) pur scontando una assoluta anomalia, ovvero il gonfiamento del dato per l'inclusione degli insegnanti di sostegno (che in tutto il mondo stanno nel bilancio dei ministeri di welfare e non in quello dell'istruzione) e di quelli di religione (che come è noto esistono solo da noi).
(da una segnalazione di Giovanni Vetritto)

Sommario della sintesi in italiano:
 Nell’area OCSE, i governi stanno cercando di rendere più efficace il sistema di istruzione e al contempo di accedere a risorse supplementari che permettano di rispondere alla domanda crescente in materia.
 L’edizione 2010 della pubblicazione intitolata Education at a Glance: OECD Indicators offre ai vari Paesi l’occasione di riflettere sulla loro performance in un’ottica comparativa. Vi si trova una vasta gamma di indicatori aggiornati e comparabili relativi ai diversi sistemi che rappresenta il giudizio condiviso dei professionisti del settore sulle modalità
con cui misurare la realtà attuale del panorama dell’istruzione su scala internazionale.
 Gli indicatori mostrano quali sono i soggetti coinvolti nel settore, quanto vi si spende e come operano i sistemi di istruzione. Illustrano inoltre un’ampia gamma di risultati ottenuti attraverso il paragone, ad esempio, tra le prestazioni degli studenti in aree specifiche e l’impatto dell’istruzione sui livelli di retribuzione e sulle opportunità di
impiego degli adulti.

domenica 25 luglio 2010

Legittimità: un interesse generale - di Marina Boscaino

Da che parte state? Domanda per le istituzioni governate dal centro sinistra, tranne le province di Bologna, Pistoia e Vibo Valentia e qualche comune toscano. Loro lo sanno e lo dicono: hanno proposto, infatti, l’intervento ad adiuvandum per l’udienza del 19 luglio, nella quale il Tar del Lazio deciderà se confermare la sospensiva delle circolari su iscrizioni e organici della scuola. Il ricorso era stato presentato da Per la Scuola della Repubblica e altre associazioni, che hanno raccolto 755 firme (docenti, Ata, studenti, genitori) e si somma ad un’analoga azione intentata dalla Cgil, convocata dal Tar per lo stesso giorno. Qualora dovesse essere confermato il precedente pronunciamento, le due circolari verrebbero inficiate, poiché hanno definito effetti della cosiddetta “riforma” prima che essa diventasse legge: un’anomalia sconcertante che più volte ho segnalato da queste pagine. Dopo la sospensiva, ai proponenti è sembrato scontato chiedere supporto agli enti locali: Gelmini era tenuta per legge, prima di definire gli organici, a sentire Conferenza Unificata Stato-regioni ed Enti locali; ma si è proceduto ai tagli senza il preventivo parere. Quale occasione migliore per ribadire le prerogative delle regioni, troppo spesso scavalcate dal ministro? È vero che la deriva regionalista è uno dei pericoli maggiori che minaccia oggi la scuola e che bisogna combatterla; ma da dove partire, se non dalla legge, per affermare la certezza del diritto?
La risposta è stata ambigua e deludente: dopo proclami e dichiarazioni contro i tagli, gli amministratori locali “amici” non se la sono sentita di sbilanciarsi più di tanto. Diverso, per fortuna, l’atteggiamento del presidente della Provincia di Bologna, Draghetti, che ha sottolineato che l’appoggio ad adiuvandum del ricorso è un'operazione legata ''alle fatiche che abbiamo vissuto quest'anno anche come ente locale, in assenza di qualsiasi tipo di interlocuzione''. Per descrivere ''il modo in cui viene trattata la scuola'', Draghetti ha sottolineato che quest’anno ''non siamo neppure riusciti a fare uscire la guida con tutte le informazioni. Non abbiamo certezze''. Se Pistoia e Vibo Valentia usano il medesimo atteggiamento, cosa fanno tutti gli altri enti locali? La Regione Emilia Romagna parla di problemi legati a “conflitto di competenze”. Il legale dei ricorrenti, Mauceri, spiega: “Non esiste conflitto, perché le regioni – come si è detto [ndr]- hanno in primo luogo un interesse specifico ad appoggiare il ricorso, se non addirittura a proporne uno autonomo, essendone state violate le prerogative. In secondo luogo non si tratta in questo caso di intervenire in un giudizio promosso da insegnanti e genitori contro altri insegnanti e genitori, da alcuni cittadini contro gli interessi di altri cittadini; il ricorso è stato proposto da un gruppo di cittadini, ma per un interesse comune a tutti: la qualità della scuola. L’intervento ad adiuvandum quindi tutelerebbe anche gli interessi di chi non ha sottoscritto il ricorso, ma che subisce comunque i danni delle politiche scolastiche”. Di cosa devono farsi portavoce gli enti locali se non di un interesse generale collettivo – la qualità della scuola pubblica – contro una politica di tagli che, dequalificando l’istruzione, colpisce vite e diritti? Qualora il Tar dovesse confermare la sospensiva, verrebbe di fatto ripristinata la situazione dello scorso anno scolastico. Almeno per il 2010-11, niente taglio di ore e di posti: la circolare sulle iscrizioni ha infatti presentato alle famiglie ordinamenti esistenti solo a parole, poiché la riforma non aveva compiuto il suo iter e non era dunque legge dello Stato. Nell’udienza di domani un appoggio concreto delle regioni avrebbe rappresentato una circostanza fondamentale almeno per rendere chiaro ai cittadini chi sta da che parte. Ultimamente abbiamo smarrito l’orientamento. Si sarebbe trattato, insomma, di una scelta politica estremamente significativa. Anche per l’immenso vuoto circostante: alla Festa Democratica a Roma la scorsa settimana, nonostante le sollecitazioni di alcuni proponenti, né Coscia, né Puglisi, responsabile scuola, hanno infatti ritenuto necessario dire una sola parola sul ricorso: la deviazione dalle procedure legittime e l’impegno generoso di insegnanti, Ata, studenti e genitori non sono stati ritenuti importanti quanto ripetuti slogan di maniera. L’impressione è sempre più che per questa “opposizione” la scuola non sia una priorità politico-culturale. La conferma ci viene anche dagli enti locali, che con il loro disinteresse irresponsabile e cinico, con il loro silenzio colpevole stanno delegittimando una lotta che con fatica molti di noi hanno portato avanti.

sabato 26 giugno 2010

IL TAR DEL LAZIO SOSPENDE L'EFFICACIA DELLE CIRCOLARI DELLA GELMINI SULLE ISCRIZIONI NELLE SCUOLE SECONDARIE, SUGLI ORGANICI DI OGNI ORDINE E GRADO E

I provvedimenti del Governo sulla scuola non solo distruggono la scuola pubblica con un taglio di 8 miliardi di euro, di 87.000 posti di insegnamento e di 45.000 posti di personale non insegnante, ma sono illegittimi.
Il TAR del LAZIO, con ordinanza n. 1023 del 25-6-10, ha accolto la richiesta dei legali dei ricorrenti, Maria Virgilio e Corrado Mauceri e ha disposto la sospensione dei provvedimenti impugnati ed ha ordinato al Ministro di depositare nel termine di quindici giorni una " documentata relazione che riferendo sui fatti di causa, controdeduca puntualmente sui motivi dedotti con il ricorso".
Il TAR ha rinviato al 19 luglio la prossima udienza per decidere se confermare o meno la sospensione dei provvedimenti impugnati.
La sospensione comporta che fino a quella data tutte le operazioni sull’organico e i relativi trasferimenti del personale perdente posto e quelle sulle iscrizioni sono congelate. La serie di illegittimità compiute dal Ministro, che – usando circolari come fossero leggi - ha forzato tempi e procedure della riforma al solo scopo di incassare i tagli di spesa , ha messo nel caos le scuole e mette a rischio l’inizio regolare del prossimo anno scolastico.
L’arroganza del Ministro è giunta fino al punto da non partecipare all’udienza davanti al TAR del 24 giugno, neppure presentando memoria scritta.Il ricorso è stato presentato da 755 docenti, genitori, personale Ata, studenti, unitamente al Comitato Nazionale per la scuola della Repubblica, al Comitato Bolognese Scuola e Costituzione e al Crides di Roma, ed è stato organizzato dai Coordinamenti scuole superiori di Roma, Bologna, Firenze, Pisa, Padova, Vicenza, Parma, Modena, Ferrara, Milano nonché dal Tavolo regionale della Toscana per la difesa della scuola statale.Il danno derivante dalla operazione governativa è gravissimo. I genitori hanno dovuto procedere all’iscrizione dei figli alle prime classi dei nuovi indirizzi per l’a.s. 2010/11:
senza conoscere i programmi di studio
sulla base del piano dell’offerta formativa dello scorso anno che gli Istituti non sono stati in grado di aggiornare, in mancanza dei programmi e dei regolamenti definitivi;
gli iscritti alle prime classi dei professionali non hanno alcuna garanzia che gli istituti statali siano in grado di offrire la qualifica professionale triennale finora prevista, visto che la competenza al riguardo è soggetta alle decisioni delle singole Regioni.
I genitori e gli studenti già iscritti agli istituti tecnici e professionali e che frequenteranno le prossime classi seconde terze e quarte si troveranno a loro insaputa dal prossimo settembre l’orario ridotto da 2 a 4 ore. Essi sono stati iscritti d’ufficio alla classe successiva senza essere informati del cambiamento e senza conoscere le materie soggette alla riduzione d’orario.
I Collegi dei docenti sono stati impossibilitati a definire un nuovo piano dell’offerta formativa:
i nuovi indirizzi di studio sono stati imposti tramite pubblicazione sul sito del Ministero nel mese di marzo. In tal modo è stato impedito agli Istituti di avanzare le loro motivate proposte di modifica delle confluenze fra gli indirizzi del vecchio e del nuovo ordinamento, come pure previsto dall’art.13 c.5 del regolamento di revisione dei Licei;
i Collegi non sono stati in grado di definire il loro nuovo piano dell’offerta formativa da presentare ai genitori all’atto dell’iscrizione;
è stato imposto ai Collegi l’adozione dei libri di testo entro il 31 maggio per le nuove classi prime senza che fossero definiti i nuovi programmi (Indicazioni per i Licei, Linee guida per i Tecnici e Professionali), che sono stati modificati più volte e sono ancora in via di pubblicazione definitiva. Molti collegi hanno rifiutato di deliberare al riguardo, altri hanno adottato testi improvvisati e definiti in base alle prime bozze dei programmi, che sono state poi profondamente modificate anche in seguito al parere del CNPI e delle Associazioni professionali.
E’ incerto a quali insegnanti verrà affidato l’insegnamento delle discipline introdotte dai nuovi ordinamenti e non previste dai precedenti.
Sono in enorme ritardo le operazioni di definizione dell’organico e quindi quelle di mobilità; in questo momento sono in fase di definizione quelle della sola scuola primaria.
I docenti si troveranno trasferiti d’ufficio sulla base di un organico basato per il prossimo anno su classi di concorso "atipiche" ovvero di classi prodotte da una commistione fra le vecchie classi e quelle previste dal regolamento di revisione, previsto dal comma 3 dell’art. 64 della Legge 133/08, che risulta approvato dal CDM il 12/06/09, ma è rimasto congelato nel suo iter.
In tal modo alcune graduatorie verranno penalizzate dall’unificazione con altre.
I testi dell’ordinanza, dei motivi aggiunti, del ricorso e la memoria depositata sono disponibili all’indirizzo

www.scuolaecostituzione.it

sabato 19 giugno 2010

La maternità secondo la Gelmini e secondo le donne lavoratrici

Gentile Ministra Gelmini,

L’altro giorno, leggendo l’intervista da Lei rilasciata al Corriere della sera, in cui dichiarava che L’ASTENSIONE OBBLIGATORIA DOPO IL PARTO è un privilegio, sono rimasta basita.
Che d’educazione Lei capisca ben poco, risulta lampante da tempo anche a chi non ha conseguito una laureain pedagogia (che io possiedo e lei no) o tre corsi post lauream (che io possiedo e lei no), visto quello che sta combinando alla scuola statale.
Ma ci si illudeva che almeno capisse qualcosa di legge, essendo lei avvocato (ed io no). Certo, il fatto che Lei, ora paladina della regionalizzazione, si sia abilitata in “zona franca” (in quel di Reggio Calabria), perché lì la cosa era “più facile” (come da lei affermato con una ingenuità francamente imbarazzante), lo lasciava ampiamente supporre.
E allora, prima le faccio una piccola lezione di diritto, e poi parleremo d’educazione.
L’astensione dopo il parto, sulla quale Lei, oggi, con tanta leggerezza disputa e sputa, non è una gentile concessione, ma un diritto insindacabile e non negoziabile, che si colloca nel novero di quei diritti fondamentali per i quali donne molto più in gamba di Lei e di me hanno combattuto strenuamente, a tutela delle lavoratrici madri.
Altra cosa, invece, è il congedo parentale, di cui si può usufruire, a partire dai primi tre mesi di vita del lattante e fino al compimento degli 8 anni, per un totale di 180 giorni, di cui i primi 30 retribuiti al 100% (solo al 30%, invece, se “spesi” entro i primi 3 anni di vita del bambino e non retribuiti per nulla, infine, se fruiti oltre il limite dei 3 anni).
Il discorso, ovviamente, vale se parliamo di “lavoro”, nella sfera del quale sono riconosciuti, appunto, i succitati diritti: per le persone come lei, con un reddito di oltre 150.000 euro l’anno, pari quasi a quello del governatore della California, Arnold Schwarzenegger, parlare di “retribuzione”, invece, è risibile (ma il riso è molto amaro).
Ovviamente lei ha difficoltà persino ad immaginare - perché può permettersi tate, tatine e nido “aziendale” al ministero - che LA GENTE NORMALE , nelle cui difficoltà dice di compenetrarsi, debba fare i conti con file d’attesa interminabili per nidi insufficienti e con costi per “baby sitter” superiori al proprio stipendio.
Voglio dirle una cosa però - consapevole che le mie affermazioni susciteranno più clamore delle sue -, DA PEDAGOGISTA E DA ESPERTA: usufruire dell’astensione OBBLIGATORIA è un DOVERE morale prima che sociale. Come vede ho più volte insistito sull’idea di "dovere", che già di per sé dovrebbe suggerirLe qualcosa.
Ma mi spiego meglio: Lei, come tante donne, crede che l’essere madri “biologicamente” (nel suo caso solo da 10g, anche se Lei ben prima di diventarlo era già una luminare della pedagogia del luogo comune), determini di per sé l’acquisizione delle competenze necessarie a pontificare sull’educazione e lo sviluppo del bambino, temi ai quali grandi studiosi hanno dedicato anni di studi.
Ma io Le comunico una notizia-bomba: per parlare di pedagogia (oggi chiamata più propriamente SCIENZA DELL’EDUCAZIONE), bisogna avere competenze specifiche, che, per quanto si evince dalle sue dichiarazioni, non possono esserLe certo attribuite.
Le potrei parlare della teoria sull’attaccamento di Bowlby, dell’imprinting e di altre categorie e funzioni etologiche, ma non voglio confonderLe le poche e ben confuse idee che possiede, per cui La rimando ad esempi facilmente accessibili.
Basta guardare il regno animale, infatti, per rendersi conto del fatto che le mamme non si allontanano mai dai piccolini e che dedicano loro attenzione e cura massime FINO ALLO SVEZZAMENTO (che per i bambini si verifica dopo 5 mesi dalla nascita).
Non è una legge dell’uomo: è della natura. Fare un figlio, infatti, implica delle responsabilità precise: è una scelta di vita CHE, SE CAMBIA IL COMPORTAMENTO ANIMALE, A FORTIORI DEVE CAMBIARE LA VITA DEI GENITORI.
Sbaglia chi crede che l’arrivo di un figlio non debba comportare mutamenti nella propria vita. Un bambino non chiede di nascere; fare un figlio non è un capriccio da soddisfare, ma una scelta che implica dono di sé e del proprio tempo.
Non sono i figli che devono inserirsi nella nostra vita: siamo noi che dobbiamo cambiarla per renderla conforme alle loro esigenze. Se non facciamo questo, rischiamo di condizionare negativamente la formazione dei bambini, che potrebbero crescere privi di autostima e con scarsa sicurezza nei propri mezzi, affamati di quelle attenzioni che avrebbero dovuto ricevere nel momento in cui ne avevano massimo bisogno, cioè nei primi mesi di vita.
L’idea che non capiscano, che non percepiscano, ad esempio, la differenza tra il seno materno e il biberon della tata, è solo nostra. Con ciò non si vuol certo dire che tutti bambini allattati artificialmente o i cui genitori tornino subito a lavoro saranno dei disadattati, ma bisogna fare del nostro meglio per farli crescere bene, come quando in gravidanza si assume l’acido folico per prevenire la “spina bifida”.
I bambini hanno nette percezioni, già nel grembo materno. L’idea, ad esempio, che se piangono non si debbano prendere in braccio “perché si abituano alle braccia”, è uno stolido luogo comune.
Le “abitudini” maturano dopo i 6 mesi; fino ad allora, è tutto amore. Non è un caso che studi recenti abbiano riabilitato il cosleeping, (dormire nel lettone), e che i migliori pediatri sostengano l’opzione dell’allattamento a richiesta.
Il volere irreggimentare i bambini, il volerli inquadrare, come soldati, già dai primi giorni, non è solo antisociale - perché una generazione cresciuta senza il rispetto dei suoi ritmi può essere inevitabilmente compromessa -, ma è contrario alle più elementari regole umane e naturali.
Possiamo poi discutere del fatto che molto spesso le donne sono costrette a ridurre il loro apporto affettivo perché non possono regredire in una posizione lavorativa faticosamente conquistata, ovvero del fatto che tornare a lavorare per molte donne è una necessità.
Ma riguardo a ciò dovrebbe intervenire massicciamente lo Stato, e non certo con affermazioni come le sue!
Mi rendo conto che il suo lavoro Le permette di lasciare la bambina, di rilasciare interviste (di cui né noi né altri sentono la necessità), e di tornare poi da Sua figlia, il che falsa parecchio le sue prospettive, ma ci sono lavori che richiedono fatica fisica e mentale, entrambe a Lei sconosciute, che sarebbero inevitabilmente tolte al neonato, che ha bisogno di una mamma “fresca”, che gli dedichi la massima attenzione.
Noi donne, infatti, siamo chiamate a trasformarci in “Wonder Women”, e necessariamente diveniamo vittime della sindrome da sovraffaticamento.
Non si può dire, poi che è più importante la qualità che la quantità, per due ordini di motivi:
1) Perché la qualità del tempo di una donna madre da pochi giorni che rientri nel tritacarne della routine quotidiana e che si trovi a gestire il nuovo carico di responsabilità che il neonato comporta, può essere fortemente compromessa
2) Perché un bambino non dovrebbe scegliere tra qualità e quantità, almeno nei primi mesi: dovrebbe avere entrambi. Per non parlare poi del fatto, che se un genitore non può permettersi qualcuno che gli tenga il bambino in casa, negli spostamenti, etc., lo esporrà, con un bagaglio immunologico ancora carente, a sbalzi di temperatura o agli inevitabili rischi di contagio presenti in un nido.
Infatti, è scientificamente provato che i bambini che vanno al nido troppo presto o che non vengono allattati al seno sono più soggetti ad ammalarsi, con danno economico sia per le famiglie che per il sistema sanitario. Si può obiettare, per carità, che ci sono bambini che si ammalano anche in casa, ovvero che succeda anche ai bambini allattati al seno, ma sarebbe come dire al proprio medico che, essendoci in famiglia un nonno fumatore vissuto 100 anni, resta dimostrato che il fumo non fa male!
Bisogna dunque incentivare i comportamenti da genitore virtuoso anche con la consapevolezza che i bambini non sono funzioni matematiche, e che si può fare molto per favorire una crescita armoniosa già dalla prima infanzia, se non addirittura dalla gravidanza.
Per questo Le domando, Signora, Ministro senza alcun merito, di svolgere il suo ruolo istituzionale importante con maggiore serietà, cercando di evitare “sparate” fuori luogo come quella oggetto di questa contastazione (equiparabile a quella dell’ineffabile Bossi, relativa alla convinzione che studiare non è poi così importante, come dimostra la brillante “carriera” politica del figlio Renzo!) e mostrando maggiore consapevolezza del suo essere una “miracolata”.
Proprio come tale, anzi, Lei dovrebbe impegnarsi nello studio e vagliare attentamente ciò che afferma, per evitare cadute di tono e stile, nonché dichiarazioni irritanti e capaci di fomentare ostilità, con grave danno per il paese e per la scuola.
Qualcuno ha pensato che, tutto sommato, il suo è un ministero poco importante, e che porre alla sua guida un giovane ministro senza competenze specifiche “non poteva arrecare grossi danni”, soprattutto se il ministro avesse obbedito ciecamente ai dettami del Tesoro; Lei, però, con la sua presunzione di voler parlare di cose che non conosce, sta contribuendo allo sfascio delle generazioni future mettendoci pure del suo!
... Un’ultima cosa: Lei che di privilegi se ne intende bene, impari ad usare questa parola con maggior pudore!

Rosalinda Gianguzzi