domenica 3 ottobre 2010

Sindacati uniti in piazza

Il Fatto Quotidiano, domenica 26 settembre.
Marina Boscaino

Ci pensate? Da più di 2 anni la scuola italiana è in mobilitazione permanente. Vuoi nelle modalità collaborative e collegiali che
appartengono alla bella cultura della scuola primaria, vuoi nella dimensione sfrangiata e quasi balbettante -spesso individuale - che ormai da tempo caratterizza la superiore, la scuola protesta.
È vero, sono stati i precari a restituirle la dignità del risveglio da lungo torpore; dallo stato di acquiescenza passiva che ne ha caratterizzato gli ultimi anni e ha confermato pericolose tendenze a divorare energie volontaristiche, entusiasmi a costo 0, che hanno tenuto a galla il sistema dell'istruzione, punte di diamante di una professionalità in declino, costretta da scelte bipartisan – prima tra tutte l'autonomia degli istituti – a convertire genuine vocazioni didattiche a logiche del mercato e a
improvvide dimensioni pseudo-manageriale.
Elemento neutro per gli strateghi del MIUR – Gelmini, nonostante interrogazioni parlamentari, scioperi della fame, scuole al collasso continua nel suo silenzio autoreferenziale, confrontandosi solo con media compiacenti o interlocutori fidati -, la protesta ha riattratto la parte della società civile che avverte il disagio (attraverso le “disavventure” dei figli incappati nella “epocale riforma” o per sensibilità all'agonia del più grande potenziale di crescita e uguaglianza di un Paese civile e democratico) del presente. Varie le strategie di sensibilizzazione dei collegi docenti più motivati e responsabili: è bene, infatti, che più “utenti” (sic!) possibile capiscano che i tagli sul sistema-scuola non sono soltanto l'allontanamento
coatto di 140.000 donne e uomini senza nome e volto. Ma si abbattono tragicamente sul funzionamento delle scuole.
Non sto parlando di bonifica dall'amianto o messa in sicurezza degli istituti: sono progetti per un altro mondo, un'altra vita. L'impoverimento nella scuola di tutti i giorni si tocca con mano: -72.4% i fondi per le supplenze; -50% i fondi per didattica e amministrazione; -25% per le pulizie. Il debito che il ministero ha contratto con gli istituti ammonta a 1,5 mld. Le scuole sono al collasso e si sostengono con gestioni virtuose dei pochi fondi che arrivano e al cosiddetto “contributo volontario” delle famiglie, che ormai è una tassa (anche se non si configura come tale), di ammontare variabile e oggi sempre più adoperata per la gestione ordinaria. Che cosa succederebbe se – improvvisamente – le famiglie italiane decidessero di appellarsi alla “volontarietà” del pagamento e smettessero di versare, è facilmente immaginabile. Altrettanto immaginabile è cosa
succederà se – come si sta proponendo – i docenti decideranno di smettere di fare attività aggiuntive; non accettare più nelle proprie classi studenti privi di sorveglianza di un docente assente; non organizzare viaggi di istruzione; non aumentare il proprio orario contrattuale assumendosi gli spezzoni precedentemente assegnati ai precari, motivati e non sovraccarichi delle canoniche 18 ore: è questa, infatti, la faccia più triste della strategia di “risparmio” che vari dirigenti scolastici attuano in
mancanza di nomine. Il collasso definitivo, ecco cosa succederebbe. E l'impoverimento dell'offerta formativa andrebbe a ricadere in primo luogo sugli alunni. Ecco la consapevolezza di un governo che sta facendo leva sulla sindrome del volontariato da cui molte scuole e molti docenti sono affetti.
Perché dovremmo cercare di attutire il disagio, di nascondere le
difficoltà, che la “cura da cavallo” Gelmini-Tremonti ha creato nelle scuola e che si amplificano di anno in anno? È davvero civicamente responsabile ammortizzare i colpi del malgoverno e dello spregio che questa classe dirigente ha per la scuola pubblica? Io una risposta l'avrei. E molti che come me in questi anni si sono mobilitati. Chiediamo ai più sensibili interlocutori dei lavoratori della scuola – la Cgil, i Cobas e altri sindacati di base– di trovare punti di convergenza per una giornata di
sciopero unitario. Quelli che firmano ai tavoli, quelli che hanno chiuso un occhio e poi tutti e due rispetto all'arbitrio e alla dismissione, non ci interessano. È ora di silenziare vecchi dissapori e antichi attriti. E prepararsi a fronteggiare – insieme - emergenze immediate e progetti di attacco a libertà di insegnamento e diritto alla dignità del lavoro. Tutta la scuola democratica si impegni a condurre con maggiore unità le proprie convinte battaglie di principio, spesso condivise. È l'esigenza di moltissimi.