giovedì 25 novembre 2010

GIOVANI: UNA STRAORDINARIA MOBILITAZIONE

Non ha precedenti recenti la forza della contestazione giovanile che in questi giorni sta occupando scuole, università, strade e piazze del nostro Paese: ieri (il 17 novembre) in cento città italiane, oggi in tutte le università per opporsi all’approvazione di una legge che ucciderebbe l’università statale e il diritto di istruzione. Ieri e oggi per impedire che il governo riduca in macerie la scuola, l’università, la ricerca e la cultura; ieri e oggi perché i giovani sono vittime di un’aggressione violenta e senza precedenti al loro futuro.

La protesta è quasi un’esplosione improvvisa, forte, consapevole ma anche piena di una rabbia, prodotta dalla situazione tragica che vivono milioni di giovani nel nostro Paese.

Oggi il 30% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro (nel Meridione si arriva a punte del 50%), rispetto al 2009 sono trecentomila in più (il 4,5%) il che significa che il calo complessivo dell’occupazione dell’ultimo anno riguarda per l’80% i giovani, vengono cioè licenziati anzitutto coloro che svolgono lavori precari.

Oggi il 22% dei giovani ( due milioni di giovani!) fra i 15 e i 29 anni non lavora e non frequenta alcun corso di studi (il dato è in continuo, preoccupante aumento), di questi circa 1/5 è in età scolare.

Oggi il 25% dei giovani fra i 18 e i 24 anni non possiede il diploma della secondaria superiore e sono 16 su cento gli espulsi dalla secondaria superiore nei primi due anni di iscrizione; oggi, mentre sono in calo le immatricolazioni all’università, solo il 18% dei giovani venticinquenni consegue una laurea di 4-6 anni provenendo in larghissima maggioranza (circa il 75%) dalle classi sociali più ricche e acculturate con l’esclusione massiccia di figli di lavoratori dipendenti e operai.

Lavoro, istruzione, diritti.

Se è vero che il 43% dei giovani svolge un lavoro meno qualificato rispetto al titolo di studio conseguito è altrettanto vero che il possesso di un titolo di studio è elemento decisivo per l’accesso al lavoro, per i diritti di cittadinanza. Lo riconoscono tutti: dalla CGIL, alla Banca d’Italia, a Confindustria, all’Istat…Il calo dell’occupazione giovanile nell’ultimo anno ha colpito per l’11,4% chi possedeva la licenza media, per il 6,9% chi possedeva il diploma della secondaria superiore, per il 5,2% la laurea; il tasso di occupazione dei laureati è quasi doppio di quello dei titolari di licenza elementare e rispettivamente del 24% e del 12% in più rispetto a chi possiede la licenza media e il diploma della secondaria superiore. Chi studia di più si ammala meno, delinque di meno, ha maggiore consapevolezza dei propri diritti.

Le scelte della destra cancellano il futuro

La destra al governo, pure ben consapevole di tutto questo, opera scelte contro il futuro di tutti.

Non attua alcun provvedimento, non investe un euro per il lavoro, per l’occupazione giovanile, contro il precariato, anzi “licenzia” decine di migliaia di precari nella scuola, nell’università, nella ricerca, nel pubblico impiego.

Taglia del 25% in quattro anni il bilancio statale di scuola, università e ricerca; controriforma la scuola italiana, abbassa l’obbligo di istruzione e ( in accordo con Confindustria!)consente di assolvervi mentre si lavora come apprendisti; colpisce mortalmente l’università statale tagliando contestualmente i fondi per il suo funzionamento ordinario e per il diritto allo studio e cancellando il diritto al lavoro di decine di migliaia di ricercatori precari. E’ così che si vuole trasformare il diritto di istruzione per tutti sancito dalla Costituzione in privilegio riservato a ristrette minoranze più ricche e già privilegiate.

Sta in questi numeri e in queste sciagurate scelte politiche l’aggressione violenta e senza precedenti al futuro delle giovani generazioni.

Vincere si può

Per questo la lotta è tanto forte e determinata. Oggi più di ieri questa lotta può conseguire dei risultati importanti, a partire dalla non approvazione della legge sull’università.

Potrà conseguirli anche perchè domani i giovani si incontreranno in piazza con i lavoratori, nella grande manifestazione nazionale della CGIL e, fra due settimane (l’11 novembre), la più grande forza dell’opposizione parlamentare sarà protagonista (si deve con la partecipazione di tutte le altre forze di sinistra e progressiste) di una grande mobilitazione nazionale contro il più pericoloso governo di destra della storia repubblicana.

Potrà conseguire dei risultati perché mai come ora la crisi di questa destra è stata tanto palese sia nella società che nelle aule parlamentari.

Una nuova strada è possibile.

Ma questa straordinaria mobilitazione giovanile indica una strada per il futuro. Perché “coloro che verranno” operino una inversione di rotta nelle scelte politiche nazionali eleggendo il diritto al sapere e al lavoro come le due grandi priorità politiche che fondano il futuro di uguaglianza, di democrazia, di sviluppo del paese e i diritti dei cittadini e delle persone. Così dice la Costituzione italiana.

Il 10% della popolazione ha il 45% della ricchezza nazionale: si deve ridistribuirla.

Non esiste alternativa alcuna a questa scelta strategica. E per realizzarla una sola è la strada percorribile: avviare finalmente un processo di redistribuzione della ricchezza nazionale. Ovvero fare sì che il 10% della popolazione che detiene il 45% della ricchezza nazionale ne ceda una parte consistente all’intera società. Perchè venga destinata alla creazione di lavoro a tempo indeterminato, alla stabilizzazione del lavoro precario, all’aumento dei salari, al rispetto e alla realizzazione dei diritti ; perché venga investita in sapere, in istruzione, nell’università e nella ricerca, per realizzare riforme (queste sì, riforme) del nostro sistema formativo che consentano a tutti i giovani del nostro paese di avere un’istruzione qualificata, obbligatoria e gratuita almeno fino a 18 anni e ai capaci e meritevoli, non ai più ricchi, di accedere ai gradi più alti degli studi.

Il primo provvedimento immediatamente realizzabile, ai fini della redistribuzione, è quello della tassazione al 10% dei capitali esportati illegalmente all’estero e condonati grazie al famigerato scudo fiscale. Entrate per lo Stato, dieci miliardi. Destinazione prevalente: scuola, università, ricerca scientifica, stabilizzazione del lavoro precario.

Seguono altri provvedimenti da tempo noti e relativamente “semplici” visto che sono stati realizzati in tutti i paesi avanzati: una tassazione adeguata delle grandi ricchezze e delle rendite finanziarie alla pari degli altri paesi europei; una lotta senza quartiere all’evasione fiscale che per quantità e qualità in Italia è unica al mondo! Se ben si vede si tratta di imporre un’equa tassazione a chi ha accumulato enormi ricchezze commettendo gravi reati a danno della società (esportazione illegale di capitali all’estero, evasione fiscale) che in altri paesi sono puniti anche col carcere.

E, infine, una riduzione della spesa militare, un taglio agli inutili e costosissimi “Euroflyght” e alla presenza in Afghanistan.

Un impegno preciso su questi temi anche da parte delle forze politiche di opposizione parlamentare costituirebbe un segnale di nuova speranza, di fiducia, di incoraggiamento alla battaglia che si sta conducendo per il futuro delle giovani generazioni e di tutto il Paese.

Piergiorgio Bergonzi - resp. nazionale scuola PdCI- Federazione della sinistra

25 novembre ‘10


domenica 14 novembre 2010

Nuovi finanziamenti alle scuole private ed ulteriori tagli alla scuola statale: contrastiamo questo vergognoso appalto dell’istruzione pubblica.

Mentre in Parlamento e nei media si discute della crisi del Governo Berlusconi, questo stesso Governo, con un atto d’inquietante arroganza, incurante delle proteste che da tutte le componenti della scuola pubblica si levano contro le politiche dei tagli ed il processo di privatizzazione di tutto il comparto dell’istruzione, ha emanato una serie di decreti in finanziaria che limitano ulteriormente il diritto allo studio e che continuano a favorire la scuola parificata a svantaggio di quella statale.
Drastica riduzione del contributo per i libri di testo, circolare ministeriale nella quale si obbligano i dirigenti scolastici a non esercitare alcuna critica nei confronti del ministero, nuovo finanziamento di duecentoquaranta milioni di euro per le scuole parificate - dopo che nella scuola pubblica, per ragioni “cosiddette di bilancio” sono stati tagliati 8 miliardi di euro – evidenziano con chiarezza come la decisione di tagliare nella pubblica istruzione scaturisca da una volontà consapevole e precisa: sostenere con tutti i mezzi disponibili la privatizzazione della scuola e, di conseguenza, contrastare il principio costituzionale per cui debbono essere rimossi gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana.
Come coordinamento delle scuole secondarie di Roma denunciamo l’ennesima rinuncia da parte dello Stato a perseguire le finalità formative universali per cui sono destinati i fondi per l’istruzione a favore dell’accettazione di una logica lobbistica per cui, quando un Ente privato fa pressioni sul Governo vengono immediatamente messe a disposizione somme ingenti di denaro pubblico a suo vantaggio. Rivendicando lo spirito della Costituzione Repubblicana per cui l’istruzione privata può essere esercitata ma senza oneri per lo Stato, ribadiamo la nostra decisa indignazione per l’ennesima scelta di garantire finanziamenti pubblici alle scuole parificate, in particolare in un momento come quello attuale in cui la scuola statale in tutte le sue componenti (genitori, studenti, insegnanti) sta subendo il più feroce attacco della storia repubblicana.
Per questo motivo invitiamo tutte le componenti della scuola a condividere con noi questo legittimo sentimento d’indignazione e, in qualità di cittadini della Repubblica Italiana, a diffondere questo documento in tutte le sedi possibili (collegi docenti, assemblee studentesche e sindacali, etc) e a costruire unitariamente iniziative pubbliche su tutto il territorio che denuncino questa vergognosa operazione di consapevole impoverimento dell’istruzione pubblica congiunta all’inutile e provocatorio finanziamento alle scuole private.

sabato 6 novembre 2010

NIENTE SOLDI AI LIBRI DI SCUOLA

Il governo riprova il blitz fallito nel 2009 e cancella il fondo da 103 milioni. Lo scorso anno le risorse erano ricomparse nel decreto di Natale, ma questa volta sarà più difficile

Nel 2011 il governo non ha previsto i fondi per rendere gratuiti i libri testo delle scuole dell’obbligo. Dopo il tentativo fallito in extremis dodici mesi fa, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ci riprova e cerca di far saltare una delle misure caratteristiche della scuola pubblica dal 1967, cioè il fondo per i libri destinato ai bambini provenienti da famiglie meno abbienti, che serve a garantire il diritto allo studio a tutti i ragazzi. Il capitolo di bilancio della legge Finanziaria che prevede lo stanziamento di 103 milioni per la gratuità dei libri scolastici è stato nuovamente tagliato e ridotto a zero per il prossimo anno.  Se le cose resteranno come sono, e non ci sarà uno stanziamento ulteriore nell’annunciato decreto di Natale, tutte le famiglie che mandano i bambini alle primarie (o che sfruttano il comodato d’uso gratuito nella scuola superiore) saranno costrette a sborsare i soldi per i libri di tasca propria.
Ma quella dei libri non è l’unica misura del piano governativo: il fondo per il diritto allo studio nelle scuole dell’obbligo viene ridotto di oltre il 70 per cento. In questo modo solo il 30 per cento di chi non può permettersi di studiare potrà farlo, per i bambini delle altre famiglie in difficoltà economiche l’istruzione sarà a rischio. Nello stato di previsione del ministero dell’Economia, alla voce “sostegno all’istruzione” sono calcolati solo 33,1 milioni di euro tra le somme da trasferire alle Regioni per le borse di studio. La riduzione rispetto all’anno scorso è quindi di 84,2 milioni di euro. Mentre in quello del ministero dell’Università e la Ricerca, il diritto allo studio nell’istruzione universitaria viene ridotto a 25,7 milioni da 100, tagliando 74 milioni. Con l’aggravante che le Regioni, a loro volta, stanno riducendo i finanziamenti a questo genere di misure a causa dei tagli agli enti locali. Il computo dei tagli che la Finanziaria porterà a scuola e università è stato calcolato dai deputati del Partito democratico che fanno parte della commissione Cultura e che ieri si sono visti respingere tutti gli emendamenti che rifinanziavano questi fondi. Nello specifico hanno registrato una riduzione di 123,3 milioni di euro per l’istruzione prescolastica e di 780,1 milioni di euro per l’istruzione primaria. Per l’istruzione secondaria di primo grado e di secondo grado vengono ridotte rispettivamente di 208,3 milioni e di 841,6 milioni di euro, mentre per l’istruzione post-secondaria, (quella per gli adulti) il taglio è di 7,8 milioni di euro.
In commissione Cultura, a Montecitorio, la discussione ieri è salita di tono e l’Italia dei Valori ha deciso di abbandonare i lavori per protesta. “É stato l’ennesimo atto di arroganza da parte di questo governo – racconta Pierfelice Zazzera, capogruppo Idv in commissione – e di questa maggioranza nei confronti del Parlamento e delle minoranze. Non solo il rappresentante del governo si è presentato con un’ora di ritardo ma, fatto ancor più grave, è stato impedito alle minoranze di parlare. Per questo, abbiamo abbandonato i lavori”. Il Partito democratico denuncia: “Con un colpo secco – dice la capogruppo in commissione Cultura Manuela Ghizzoni – il governo ha abolito la gratuità dei libri di testo nella scuola elementare per il 2011 e ridotto di oltre il 75 per cento i fondi per le borse di studio nelle università. Abbiamo dovuto lottare per ottenere dieci milioni per l’edilizia delle residenze universitarie. É inaccettabile”.
Anche lo scorso anno le proteste erano state analoghe e, sotto pressione, alla fine il governo aveva trovato i 103 milioni di euro mancanti nel decreto milleproroghe natalizio. Questa volta sarà più difficile, perché il decreto di fine anno varrà sette miliardi ma gran parte di questi soldi sono già stati promessi in quello che Tremonti definisce “Piano sviluppo”. Al ministro della Cultura Sandro Bondi servono soldi per il fondo per lo spettacolo, Stefania Prestigiacomo reclama 100 milioni per il dicastero dell’Ambiente, poi ci dovranno essere gli 800 milioni di copertura finanziaria della riforma universitaria. E trovare le risorse per i libri di testo gratuiti sarà ancora più arduo che nel 2009.

Da Il Fatto Quotidiano del 28/10/2010

mercoledì 3 novembre 2010

Napoli, 30 ottobre, convegno “Scuola pubblica: quale futuro?” “Titolo V della Costituzione, regionalizzazione, federalismo fiscale: un cortocircuito?”

intervento di di Anna Angelucci

Non c’è limite alla ferocia con cui questo governo sta smantellando la scuola pubblica. La tempistica è quella indicata dal piano programmatico attuativo della legge 133 del 2008: tre anni.
Entro la fine del 2011, studenti e lavoratori devono essere messi in condizione di non nuocere. Per quella data la scuola pubblica deve essere dismessa: niente più costi da sostenere per un esecutivo che vede nella scuola, nell’università, nella ricerca e nella cultura solo spese superflue e dannose, da estirpare alla radice.
Il taglio complessivo di 8 miliardi di euro, l’espulsione di 130.000 lavoratori precari, il congelamento del miliardo e mezzo di crediti residui, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la centralizzazione del fondo d’istituto che mette a rischio la retribuzione integrativa, il mancato rinnovo delle RSU, i disegni di legge Aprea e Goisis che aboliscono gli organi collegiali, privatizzano i consigli d’istituto, aziendalizzano le scuole, regionalizzano i contratti dei lavoratori e personalizzano i rapporti di lavoro a tempo determinato sono altrettanti tasselli di un mosaico che prevede un futuro senza scuola pubblica e che disegna, agli albori del III millennio, una società iniqua, antidemocratica, involuta, classista.
Evidentemente, la società ideale per chi ci governa, che ci vorrebbe avidi consumatori di merci, inconsapevoli di noi stessi e dello spazio che ci circonda, privi di memoria storica, inabili al pensiero critico, contenitori passivi del nulla che le immagini delle televisioni di chi ci governa, quotidianamente, ci impongono.
Insieme alla stampa e alla magistratura, vogliono ridurre al silenzio e all’impotenza uno dei luoghi fondativi del sapere libero e della libera circolazione delle idee, quel luogo in cui ciascuno di noi, bambino e poi adolescente, ha scoperto se stesso, ha conosciuto i propri diritti e i propri doveri, ha sperimentato le proprie debolezze e la propria forza, si è confrontato con l’altro da sé, ha costruito la sua identità, forgiato il proprio carattere: la scuola pubblica, baluardo di partecipazione, integrazione, pluralismo, democrazia.
Cancellare la scuola pubblica significa cancellare, di fatto, princìpi fondamentali della nostra Costituzione; princìpi civili, etici e sociali: art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; art. 33 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.[...]; art. 34 “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto, con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attibuite per concorso”.
Ecco in che modo, oggi, il governo rende effettivo questo diritto: il capitolo di bilancio della legge finanziaria che prevede lo stanziamento di 103 milioni per la gratuità dei libri scolastici è stato nuovamente tagliato e ridotto a zero per il prossimo anno.
Ma anche il ‘Fondo per il diritto allo studio’ nelle scuole dell’obbligo viene ridotto di oltre il 70 per cento. In questo modo solo il 30 per cento di chi non può permettersi di studiare potrà farlo; per i bambini delle altre famiglie in difficoltà economica l’istruzione è a rischio.
Nello stato di previsione del ministero dell’Economia, alla voce ‘Sostegno all’istruzione’ sono calcolati soltanto 33 milioni di euro tra le somme da trasferire alle Regioni per le borse di studio, con una riduzione rispetto all’anno scorso di 84 milioni di euro, mentre in quello del MIUR il diritto allo studio nell’istruzione universitaria viene ridotto da 100 a 25,7 milioni, con un taglio di più di 74 milioni di euro. E tutto questo con l’aggravante che le Regioni, a loro volta, stanno anch’esse riducendo i finanziamenti all’istruzione a causa dei tagli agli enti locali.
Ecco dunque l’entità dei tagli con cui l’ultima Finanziaria falcidierà la scuola pubblica: 123 milioni di euro in meno per l’istruzione prescolastica, 8 milioni di euro in meno per l’istruzione degli adulti; 780 milioni di euro in meno per l’istruzione primaria, 208 milioni di euro in meno per l’istruzione secondaria di primo grado, 841 milioni di euro in meno per quella di secondo grado. Per un totale di circa 2 miliardi di euro rubati alla scuola, cioè agli studenti, alle famiglie, ai lavoratori, ai cittadini italiani, a tutti noi.
Non possiamo accettare tutto questo senza reagire: la scuola pubblica esercita una funzione istituzionale irrinunciabile, finalizzata alla formazione dei giovani, all’esercizio di una cittadinanza attiva, inclusiva, laica, democratica. Oggi, il combinato disposto tra federalismo fiscale e nuovo titolo V della Costituzione ci mette drammaticamente di fronte a una nuova emergenza: la rottura del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione italiana, la rottura del principio di solidarietà nazionale, la rottura del carattere unitario del nostro sistema scolastico, garanzia di pari opportunità e di pari dignità culturale e sociale per tutti i cittadini.
Se è giuridicamente ineccepibile, in forza del nuovo art. 114, che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, non è né giuridicamente né eticamente accettabile che allo Stato resti, per ciò che concerne la scuola, la legislazione esclusiva delle sole “norme generali sull’istruzione” e la sola “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117), quei diritti civili e sociali che, nella loro ricchezza, articolazione e complessità, è proprio la scuola, in primis, a insegnare ai bambini e agli adolescenti, perché il tema dei diritti civili e sociali è il cardine dell’insegnamento scolastico, è il pane quotidiano di chi parla ogni giorno ai propri studenti nelle proprie classi, è il terreno fertile su cui costruiamo la cultura, la consapevolezza, il pensiero critico dei nostri futuri concittadini italiani.
Noi non vogliamo che lo Stato si limiti a garantire i ‘livelli essenziali delle prestazioni’, mentre le Regioni e gli enti locali, o perché, seppure virtuosi, privati dei finanziamenti o perché governati da beceri arruffoni prezzolati, concorrono alla “soluzione finale” del sistema-scuola!
Noi rigettiamo la definizione riduttiva e mercantilistica assegnata all’istruzione da una riforma costituzionale che non piace a illustri giuristi e neppure al Presidente della Repubblica, e che, nell’attuale deformazione federalista di matrice leghista, quella più bieca e egoista, “non solo modifica l’organizzazione politica dello Stato, ma vìola principi di solidarietà (art.2), unità, indivisibiltà (art.5) che sono immodificabili”*.
Oggi, e mi avvio a concludere queste mie riflessioni, come se non bastasse, stiamo per assistere
anche alla dismissione del nostro patrimonio edilizio scolastico. 14.700 edifici, 10.000 dei quali con necessità urgente di interventi straordinari, stanno per essere ceduti (in comodato d’uso o attraverso la costituzione di Spa) ai privati**. Con l’intervento del Ministero degli affari Regionali e l’assenso della Conferenza Unificata delle Regioni e dei Comuni, cordate di privati, con diritto di prelazione da parte delle casse di previdenza, potranno acquisire gli edifici, ora nostri, che ospitano i nostri 8 milioni di studenti, costringendo gli enti locali, cioè noi, a pagare il fitto per le ex nostre scuole, quelle scuole che già abbiamo pagato, come genitori e come docenti, con le nostre tasse, con i nostri contributi volontari, con i nostri sacrifici, con il nostro blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, con i nostri licenziamenti......
Noi, oggi, da quest’aula e da questa piazza, a nome di tutti gli studenti, i lavoratori e i cittadini italiani, diciamo NO. Noi, oggi, a questo governo diciamo NO. Diciamo NO.
No alla frantumazione e alla privatizzazione della scuola e del sapere, realizzate attraverso l’abbattimento dell’impianto unitario della scuola pubblica italiana, attraverso pseudo-riforme spacciate per “epocali”, che sottraggono quantità e qualità alle scuole di ogni ordine e grado, attraverso ddl (Goisis, Aprea) che regionalizzano i contratti dei lavoratori, personalizzano il reclutamento dei docenti rendendolo discrezionale, e aziendalizzano un’istituzione sancita dalla Costituzione!
Noi non accetteremo inerti che la scuola pubblica, che dovrebbe essere rivitalizzata e valorizzata attraverso massicci investimenti che la qualifichino ai massimi livelli europei, venga al contrario smantellata pezzo per pezzo, non accetteremo inerti che gli studenti del Duemila siano privati in tutto o in parte del loro irrinunciabile diritto allo studio, che gli alunni con bisogni speciali e i disabili siano abbandonati a se stessi, che i lavoratori precari della scuola siano licenziati e che quelli stabili siano depredati, ricattati e precarizzati!
Noi difenderemo la scuola pubblica italiana, che in molti dei suoi ordinamenti viene apprezzata
e presa a modello in tante parti del mondo, e la difenderemo dal basso, lavoratori insieme agli studenti, ai genitori e a tutti i cittadini che saranno con noi, insieme a tutte quelle forze politiche e sindacali che sono qui, con noi, ora e che non languiscono nel loro ‘cupio dissolvi’; la difenderemo contro qualunque attacco e con tutte le nostre forze fisiche e intellettuali.
La scuola pubblica italiana che vogliamo e che abbiamo sempre voluto: statale, pluralista, laica, democratica e libera.

Anna Angelucci

* F. Imposimato, La riforma federalista e l’emergenza democratica, Il Ponte, settembre 2009
** R. Sommella, Fitto proverà a cedere le scuole, MF Milano Finanza, 2 ottobre 2010