mercoledì 3 novembre 2010

Napoli, 30 ottobre, convegno “Scuola pubblica: quale futuro?” “Titolo V della Costituzione, regionalizzazione, federalismo fiscale: un cortocircuito?”

intervento di di Anna Angelucci

Non c’è limite alla ferocia con cui questo governo sta smantellando la scuola pubblica. La tempistica è quella indicata dal piano programmatico attuativo della legge 133 del 2008: tre anni.
Entro la fine del 2011, studenti e lavoratori devono essere messi in condizione di non nuocere. Per quella data la scuola pubblica deve essere dismessa: niente più costi da sostenere per un esecutivo che vede nella scuola, nell’università, nella ricerca e nella cultura solo spese superflue e dannose, da estirpare alla radice.
Il taglio complessivo di 8 miliardi di euro, l’espulsione di 130.000 lavoratori precari, il congelamento del miliardo e mezzo di crediti residui, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la centralizzazione del fondo d’istituto che mette a rischio la retribuzione integrativa, il mancato rinnovo delle RSU, i disegni di legge Aprea e Goisis che aboliscono gli organi collegiali, privatizzano i consigli d’istituto, aziendalizzano le scuole, regionalizzano i contratti dei lavoratori e personalizzano i rapporti di lavoro a tempo determinato sono altrettanti tasselli di un mosaico che prevede un futuro senza scuola pubblica e che disegna, agli albori del III millennio, una società iniqua, antidemocratica, involuta, classista.
Evidentemente, la società ideale per chi ci governa, che ci vorrebbe avidi consumatori di merci, inconsapevoli di noi stessi e dello spazio che ci circonda, privi di memoria storica, inabili al pensiero critico, contenitori passivi del nulla che le immagini delle televisioni di chi ci governa, quotidianamente, ci impongono.
Insieme alla stampa e alla magistratura, vogliono ridurre al silenzio e all’impotenza uno dei luoghi fondativi del sapere libero e della libera circolazione delle idee, quel luogo in cui ciascuno di noi, bambino e poi adolescente, ha scoperto se stesso, ha conosciuto i propri diritti e i propri doveri, ha sperimentato le proprie debolezze e la propria forza, si è confrontato con l’altro da sé, ha costruito la sua identità, forgiato il proprio carattere: la scuola pubblica, baluardo di partecipazione, integrazione, pluralismo, democrazia.
Cancellare la scuola pubblica significa cancellare, di fatto, princìpi fondamentali della nostra Costituzione; princìpi civili, etici e sociali: art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; art. 33 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.[...]; art. 34 “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto, con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attibuite per concorso”.
Ecco in che modo, oggi, il governo rende effettivo questo diritto: il capitolo di bilancio della legge finanziaria che prevede lo stanziamento di 103 milioni per la gratuità dei libri scolastici è stato nuovamente tagliato e ridotto a zero per il prossimo anno.
Ma anche il ‘Fondo per il diritto allo studio’ nelle scuole dell’obbligo viene ridotto di oltre il 70 per cento. In questo modo solo il 30 per cento di chi non può permettersi di studiare potrà farlo; per i bambini delle altre famiglie in difficoltà economica l’istruzione è a rischio.
Nello stato di previsione del ministero dell’Economia, alla voce ‘Sostegno all’istruzione’ sono calcolati soltanto 33 milioni di euro tra le somme da trasferire alle Regioni per le borse di studio, con una riduzione rispetto all’anno scorso di 84 milioni di euro, mentre in quello del MIUR il diritto allo studio nell’istruzione universitaria viene ridotto da 100 a 25,7 milioni, con un taglio di più di 74 milioni di euro. E tutto questo con l’aggravante che le Regioni, a loro volta, stanno anch’esse riducendo i finanziamenti all’istruzione a causa dei tagli agli enti locali.
Ecco dunque l’entità dei tagli con cui l’ultima Finanziaria falcidierà la scuola pubblica: 123 milioni di euro in meno per l’istruzione prescolastica, 8 milioni di euro in meno per l’istruzione degli adulti; 780 milioni di euro in meno per l’istruzione primaria, 208 milioni di euro in meno per l’istruzione secondaria di primo grado, 841 milioni di euro in meno per quella di secondo grado. Per un totale di circa 2 miliardi di euro rubati alla scuola, cioè agli studenti, alle famiglie, ai lavoratori, ai cittadini italiani, a tutti noi.
Non possiamo accettare tutto questo senza reagire: la scuola pubblica esercita una funzione istituzionale irrinunciabile, finalizzata alla formazione dei giovani, all’esercizio di una cittadinanza attiva, inclusiva, laica, democratica. Oggi, il combinato disposto tra federalismo fiscale e nuovo titolo V della Costituzione ci mette drammaticamente di fronte a una nuova emergenza: la rottura del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione italiana, la rottura del principio di solidarietà nazionale, la rottura del carattere unitario del nostro sistema scolastico, garanzia di pari opportunità e di pari dignità culturale e sociale per tutti i cittadini.
Se è giuridicamente ineccepibile, in forza del nuovo art. 114, che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, non è né giuridicamente né eticamente accettabile che allo Stato resti, per ciò che concerne la scuola, la legislazione esclusiva delle sole “norme generali sull’istruzione” e la sola “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117), quei diritti civili e sociali che, nella loro ricchezza, articolazione e complessità, è proprio la scuola, in primis, a insegnare ai bambini e agli adolescenti, perché il tema dei diritti civili e sociali è il cardine dell’insegnamento scolastico, è il pane quotidiano di chi parla ogni giorno ai propri studenti nelle proprie classi, è il terreno fertile su cui costruiamo la cultura, la consapevolezza, il pensiero critico dei nostri futuri concittadini italiani.
Noi non vogliamo che lo Stato si limiti a garantire i ‘livelli essenziali delle prestazioni’, mentre le Regioni e gli enti locali, o perché, seppure virtuosi, privati dei finanziamenti o perché governati da beceri arruffoni prezzolati, concorrono alla “soluzione finale” del sistema-scuola!
Noi rigettiamo la definizione riduttiva e mercantilistica assegnata all’istruzione da una riforma costituzionale che non piace a illustri giuristi e neppure al Presidente della Repubblica, e che, nell’attuale deformazione federalista di matrice leghista, quella più bieca e egoista, “non solo modifica l’organizzazione politica dello Stato, ma vìola principi di solidarietà (art.2), unità, indivisibiltà (art.5) che sono immodificabili”*.
Oggi, e mi avvio a concludere queste mie riflessioni, come se non bastasse, stiamo per assistere
anche alla dismissione del nostro patrimonio edilizio scolastico. 14.700 edifici, 10.000 dei quali con necessità urgente di interventi straordinari, stanno per essere ceduti (in comodato d’uso o attraverso la costituzione di Spa) ai privati**. Con l’intervento del Ministero degli affari Regionali e l’assenso della Conferenza Unificata delle Regioni e dei Comuni, cordate di privati, con diritto di prelazione da parte delle casse di previdenza, potranno acquisire gli edifici, ora nostri, che ospitano i nostri 8 milioni di studenti, costringendo gli enti locali, cioè noi, a pagare il fitto per le ex nostre scuole, quelle scuole che già abbiamo pagato, come genitori e come docenti, con le nostre tasse, con i nostri contributi volontari, con i nostri sacrifici, con il nostro blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, con i nostri licenziamenti......
Noi, oggi, da quest’aula e da questa piazza, a nome di tutti gli studenti, i lavoratori e i cittadini italiani, diciamo NO. Noi, oggi, a questo governo diciamo NO. Diciamo NO.
No alla frantumazione e alla privatizzazione della scuola e del sapere, realizzate attraverso l’abbattimento dell’impianto unitario della scuola pubblica italiana, attraverso pseudo-riforme spacciate per “epocali”, che sottraggono quantità e qualità alle scuole di ogni ordine e grado, attraverso ddl (Goisis, Aprea) che regionalizzano i contratti dei lavoratori, personalizzano il reclutamento dei docenti rendendolo discrezionale, e aziendalizzano un’istituzione sancita dalla Costituzione!
Noi non accetteremo inerti che la scuola pubblica, che dovrebbe essere rivitalizzata e valorizzata attraverso massicci investimenti che la qualifichino ai massimi livelli europei, venga al contrario smantellata pezzo per pezzo, non accetteremo inerti che gli studenti del Duemila siano privati in tutto o in parte del loro irrinunciabile diritto allo studio, che gli alunni con bisogni speciali e i disabili siano abbandonati a se stessi, che i lavoratori precari della scuola siano licenziati e che quelli stabili siano depredati, ricattati e precarizzati!
Noi difenderemo la scuola pubblica italiana, che in molti dei suoi ordinamenti viene apprezzata
e presa a modello in tante parti del mondo, e la difenderemo dal basso, lavoratori insieme agli studenti, ai genitori e a tutti i cittadini che saranno con noi, insieme a tutte quelle forze politiche e sindacali che sono qui, con noi, ora e che non languiscono nel loro ‘cupio dissolvi’; la difenderemo contro qualunque attacco e con tutte le nostre forze fisiche e intellettuali.
La scuola pubblica italiana che vogliamo e che abbiamo sempre voluto: statale, pluralista, laica, democratica e libera.

Anna Angelucci

* F. Imposimato, La riforma federalista e l’emergenza democratica, Il Ponte, settembre 2009
** R. Sommella, Fitto proverà a cedere le scuole, MF Milano Finanza, 2 ottobre 2010