giovedì 26 novembre 2009

L’istruzione e la ricerca sono beni comuni

Con l’approvazione del provvedimento Gelmini sull’Università si chiude una fase del riordino dell’istruzione e della formazione, dettata dai tagli e dalla necessità di fare cassa smantellando il welfare. La miserabile operazione messa in atto da Tremonti è consistita nel prelevare risorse dal settore pubblico per tentare di ripianare la crisi economica globale, i cui effetti peraltro continuano ad essere taciuti, risorse elargite alle banche che della crisi sono prime responsabili.
Negli ultimi due anni è stato l’intero sistema dell’istruzione, della ricerca e della formazione in Italia ad essere massacrato, con il più imponente licenziamento di massa che uno stato abbia attuato nella modernità, il cui prezzo è l’espulsione dalla scuola di 150.000 tra insegnanti ed ATA, e nelle Università la definitiva archiviazione della libera ricerca e delle già flebili aspettative dei precari. Ma è l’intero comparto del lavoro intellettuale sotto attacco: quel lavoro che in altri paesi europei e persino negli Stati Uniti fa da traino per l’uscita dalla crisi e in Italia è stato via via definanziato, già con la riforma Moratti che privatizzava l’istruzione obbligatoria abbassandone la soglia e poi con l’inazione dei vari ministri Mussi, Fioroni, preoccupati di salvaguardare posizioni dominanti e parificare scuola pubblica e privata, finanziando quest’ultima e esternalizzando le competenze della prima.
La scure dei tagli e dei proveddimenti punitivi si è abbattuta dapprima sulla scuola primaria con l’attentato al tempo pieno, alla compresenza e alla programmazione didattica che fanno dell’istruzione elementare italiana la migliore al mondo; quindi sull’Università con il ddl approvato lo scorso ottobre e i cui primi effetti sono la riduzione drastica dei ricercatori a contratto, la definitiva gerarchizzazione dei docenti, la riduzione di risorse per premiare le Università virtuose (del nord) e lasciare alle baronie privilegi e prebende, nonché il reclutamento affidato a commissioni di esperti che giocano a mosca cieca con carriere e raccomandazioni, insieme a manager privati e a.d. semipubblici. Infine sull’istruzione superiore con l’aumento di alunni per classe, la circolare Brunetta sui fannulloni e la riduzione delle risorse per le scuole superiori.
Ma lo scorso anno il movimento dell’Onda, formato da studenti, ricercatori, insegnanti e famiglie, ha frenato gli impeti “riformatori” del governo, imponendo un benefico rallentamento alla distruzione dei beni comuni – malgrado i tentativi violenti di delegittimazione e la pervicacia del Ministro dell’Istruzione nel realizzare lo scempio.
I risultati ottenuti dall’Onda non sono trascurabili: aver impedito l’attuazione del “maestro unico” nelle scuole elementari, aver rallentato l’entrata in vigore della legge 133 nelle Università; aver soprattutto posto in Italia la questione della pubblica istruzione come non si faceva dagli anni Settanta dello scorso secolo. Aver affermato l’insuperabile difesa del “comune” contro gli assalti concentrici di vecchi e nuovi liberismi che, in nome della meritocrazia, della sussidiarietà e della razionalizzazione pretendono di distruggere ciò che la Costituzione ha posto a fondamento di uno Stato democratico: la pubblicità e la laicità della ricerca e della formazione.
Ma le lotte intraprese lo scorso anno hanno ottenuto anche un altro importante risultato: aver spostato quel poco di dibattito pubblico sul welfare dalle condizioni miserabili in cui è impiegato il lavoro materiale a quelle in cui è possibile la conoscenza, in tutte le sue articolazioni. I movimenti che in questi anni si sono battuti, insieme con i precari, le donne, le reti per i diritti civili, e i comitati che sono sorti per contrastare grandi opere e costruzione di servitù militari, discariche e termovalorizzatori, patrimoni immobiliari e rendite, hanno infatti posto al centro dell’attenzione rivendicazioni generali dell’intera società civile: la libertà di ricerca e l’uso delle tecnologie; le potenzialità del lavoro immateriale; l’accesso al reddito e la costruzione di un nuovo welfare non più incentrato sulle differenze tra garantiti e non, tra lavoro e non lavoro, ma sulle possibilità per tutti di un reddito adeguato alle condizioni di esistenza del terzo millennio.
Il paradigma per riformulare completamente luoghi e temi di un contratto sociale all’altezza dei tempi è oggi costituito da ciò che i governi vogliono distruggere: la ricchezza non monetizzabile della conoscenza e dell’ informazione, la produzione e circolazione non privatistica dei saperi e delle tecnologie che costituiscono snodi strategici di risignificazione delle società post-capitaliste.
Le lotte nelle scuole e nelle Università hanno ribadito il carattere comune di beni che confliggono con l’estensione del dominio e hanno promosso una soggettività plurale che attraversa una generazione a cui si tenta di togliere il futuro.
E’ per tutto questo, ma soprattutto per difendere l’eccedenza che inerisce ad ogni produzione di conoscenza, di sapere e ad ogni luogo di circolazione, che sono nati comitati spontanei e coordinamenti di studenti, genitori e insegnanti, di lavoratori dell’istruzione e docenti universitari, talvolta anche di dirigenti scolastici, che continuano ad affermare il diritto ai beni comuni, a non pagare la crisi, a non farsi sottrarre risorse.
D’altra parte il disegno del Ministro dell’Istruzione è, per chi ancora avesse dubbi, ormai chiaro: sostituire alla rappresentanza consigli di amministrazione che decidono non in base alla qualità della ricerca ma ai posizionamenti sul mercato dei singoli istituti e facoltà. Eternizzare la precarizzazione bloccando qualsiasi prospettiva di impiego.
Nello stesso capitolo deve essere rubricato il ddl Aprea sull’istruzione superiore che prevede la trasformazione delle scuole in aziende private, con un consiglio d’amministrazione che sostituisce il consiglio d’istituto; la sparizione della RSU e della contrattazione decentrata, che sarà decisa da enti bilaterali incaricati di distruggere i Contratti Nazionali di lavoro; la chiamata diretta degli insegnanti da parte dei dirigenti scolastici; l’espulsione già in atto dei precari senza distinzioni; la gerarchizzazione degli insegnanti all’interno delle singole scuole; la lesione della libertà di insegnamento; tutto questo corre in parallelo con l’immiserimento della didattica, la riduzione della docenza ad addestramento, degli studenti ad obbedienti esecutori di ordini, pronti ad entrare nel mercato precario del lavoro in una scuola normalizzata, che ritorna alla punizione e alla repressione delle diversità.
Ecco le ragioni per cui questo progetto arrogante deve essere battuto.
Dev’essere sconfitta la filosofia che “anima” questi provvedimenti; l’infame scelta dei tagli, degli investimenti a breve, dell’opportunismo che pretende di uscire dalla crisi non con l’implementazione dei beni comuni, dell’innovazione e dell’eccedenza del sapere, ma con il razzismo e la xenofobia, la violenza e l’ignoranza, la menzogna e l’intrigo.
Ecco le ragioni per le quali tutti/e coloro che si battono per il comune sono irrappresentabili e non ci stanno a mettere la firma sotto contratti che penalizzano tutte le categorie della pubblica istruzione.
Ecco le ragioni per battersi per saperi davvero liberati, spazi autogestiti e autoformazione; perché tra le rovine delle Università e i dissesti della scuola la potenza del sapere è irriducibile al dominio.
Ecco perché, al posto di singole progettualità, sono da costruire soggettività; al posto di elemosine, reddito e risorse; invece che concertazione c’è da pretendere ciò che ci spetta, subito.

Quale ricerca e quale istruzione difendo?

  1. Quella non asservita al capitale e al mercato, in cui i fondi pubblici sono destinati a implementare la gratuità e la condivisione del sapere, l’autoorganizzazione e l’autogestione.
  2. Quella che abbia una reale qualità formativa, non un simulacro educativo in cui proliferano corsi e corsetti sponsorizzati da privati, aziende, esperti esterni.
  3. Quella che separa governance e didattica, amministrazione e ricerca. Mi batto per l’autovalutazione e aborro qualsiasi meccanismo di controllo sul sapere e sulle sue figure.
  4. Difendo la ricerca di base come presupposto della ricerca applicata.
  5. Mi batto per la fuoriuscita dalla devastante tenaglia pubblico-privato e della sussiadierietà che in nome del diritto allo studio, discrimina e divide.
  6. Difendo la cooperatività e l’indipendenza del lavoro cognitivo e delle reti, e combatto la precarietà.
  7. Voglio accesso ad un reddito di base, universale e incondizionato, unico elemento possibile di trasformazione, oltre la sostenibilità, dell’attuale modello di sviluppo.
Sono questi i contenuti che una progettualità all’altezza dei tempi dovrebbe elaborare e senza i quali la presunta autonomia e democrazia nei luoghi della formazione sono parole vuote e miserande.
Per questi motivi mi asterrò personalmente da ogni forma di contrattazione decentrata e denuncerò in ogni sede lo stato attuale in cui versa il bene comune dell’istruzione.

Prof. Paolo B. Vernaglione
RSU d’Istituto – Liceo “L. Manara” - Roma

Illegalià contro la costituzione:

il governo abolisce la gratuità dei libri di testo nella scuola elementare

Questa volta l'esecutore è Robero Maroni anche se il mandante è sempre lo stesso: il governo Berlusconi.
In effetti è stato un trucco ben congegnato nei confronti di chi pensava di dover cercare i 103 milioni di Euro destinati al pagamento dei libri di testo per gli alunni delle scuole elementari nella tabella n. 8 del bilancio dello stato, la tabella relativa al Ministero degli interni.
All’interno di quella tabella, al capitolo 7.243 non è rimasto proprio niente dei 103 milioni destinati all’acquisto dei libri di testo per i due milioni e mezzo di alunni delle elementari e potevano passare anche inosservati visto che erano soldi che dovevano essere trasferiti ai Comuni perché sono i Comuni a sostenere le spese per i libri degli alunni.
Non è una botta da poco per 2,5 milioni di famiglie che dovranno aggiungere, in media, una cinquantina di Euro alle spese per la scuola (astucci, cartelle, grembiuli, atlante, vocabolari, tassa deliberata dal consiglio di circolo, gite, ticket per la mensa, materiale di pulizia….) che già superano in media i 2.000 Euro l’anno solo per i figli che frequentano le elementari.
Ma la botta più forte è quella che viene inferta alla Costituzione Repubblicana.
Infatti l’articolo 34 della Costituzione recita:“ L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.”
I libri di testo gratuito alle elementari erano l’unico baluardo del dettato costituzionale largamente inattuato visto che alle medie i libri sono stati sempre pagati dai genitori, visto che anche alle elementari le spese sono state perennemente in crescita.
Il rischio, in questo frangente, è che i genitori siano succubi di un “buon senso” strisciante che elimina i principi ed il senso dell’”obbligo gratuito” costituzionale. Già serpeggiano nelle scuole, per altre spese, frasi fatte, di insegnanti e genitori ben pensanti che dicono: “ …ma che vuoi che siano 20 euro, con tutto quello che spendiamo per questi nostri figli!”, oppure “….capisco chi non ce li ha …ma chi lavora in due cosa vuoi che siano…” e pensano anche di fare una “bella figura”.
A questi genitori ed insegnanti diciamo che non è il caso di banalizzare il testo costituzionale dell’obbligo gratuito, è su queste parole che si fonda il carattere universale del diritto all’istruzione, è su questo principio che la legislazione scolastica ha prodotto il meglio del suo valore formativo e della sua efficacia (scuola pubblica, integrazione, inclusione, rispetto degli alunni, laicità, Tempo Pieno, giudizi come valutazione, programmazione didattica, scuola dell’infanzia, scuola media unica….). E’ stata la violazione e l’aggiramento di questi principi che ha prodotto il peggio e l’inefficacia, anche didattica (parità scolastica e finanziamenti alla scuola privata, aziendalizzazione e privatizzazione della stessa scuola pubblica, cialtroneria, illegalità e inefficacia dei percorsi scolastici).
Questi stessi principi, obbligatorietà e gratuità, hanno fondato e reso esigibili diritti i cui costi dovevano essere affrontati con le risorse della fiscalità generale che la stessa Costituzione perciò definiva progressiva rispetto alle possibilità economiche, tanto che ancora nel 1974 al momento in cui fu istituita l’Irpef l’aliquota più alta della tassazione personale era del 72% (per redditi superiori a 500 milioni di lire che oggi sarebbero 250 mila euro) rispetto alla aliquota massima di oggi del 43% (per i redditi oltre i 75.000 euro).
Penso che in questo frangente si debba scendere in lotta immediatamente per difendere ad un tempo la Costituzione della Repubblica, il senso e la qualità della scuola pubblica, la condizione economica delle famiglie.
Da subito con iniziative di scuola , di quartiere, di paesi e città nei confronti del Ministero e del governo (prefetture, comuni) con la partecipazione di cittadini, genitori, alunni, studenti “dall’infanzia all’università”.

Piero Castello
Nonno del Coordinamento Crispi

mercoledì 25 novembre 2009

Il giallo della gratuità dei libri di testo delle elementari

Nelle ultime ore si sono rincorse voci contrastanti e critiche al governo relativamente alla soppressione della gratuità dei libri di testo per gli alunni della scuola primaria che sarebbe contenuta nella legge finanziaria in corso di approvazione in Parlamento.
L'on. Ghizzoni del Pd ha parlato di scippo di 103 milioni di euro a danno degli alunni della primaria e ha chiesto al ministro Gelmini di ripristinare i fondi già previsti.
Un comunicato della Cisl-scuola ha invece precisato che, a suo parere, i 103 milioni di euro di cui si sta parlando non riguarderebbero la scuola primaria - per la quale una legge del 1964 assicura la gratuità - bensì la scuola secondaria di I grado e il biennio dell'obbligo nella superiore.
Un comunicato del Miur ha assicurato che per il 2010 i fondi per la gratuità dei libri di testo agli alunni della scuola primaria sono assicurati.
A questo punto è rimasta, tuttavia, l'incognita di quel taglio di 103 milioni per fornitura di libri di testo. Quale settore riguarda?
Abbiamo verificato la questione e abbiamo rilevato che i 103 milioni di euro (più precisamente, 103.291.000) costituiscono da diversi anni il fondo da assegnare alla Regioni per la fornitura gratuita e semigratuita dei libri di testo a studenti, in fascia dell'obbligo, della secondaria appartenenti a famiglie con basso reddito.
Nell'ultima assegnazione effettuata, 77.468.250 euro sono stati destinati a sostegno di alunni della secondaria di I grado e 25.253.000 per quelli del biennio delle superiori per totale complessivo, appunto, di 103,291 milioni di euro.
I 103 milioni di euro per libri di testo non riguarderebbero, dunque, la scuola primaria.

da
tuttoscuola.com

sabato 21 novembre 2009

A proposito di continuità didattica e scuola pubblica

Fra i tanti lutti che la scuola italiana celebra quest’anno, c’è anche quello della continuità didattica. Ci viene in mente perché tanti ne parlano, pochi sanno che è morta. Si tratta del principio per cui agli alunni, alla scuola, fa meglio cambiare pochi insegnanti e che è sicuramente un bene che un insegnante abbia un rapporto con una classe che sia il più possibile duraturo, sia per la trasmissione dei rudimenti di una disciplina, sia per la qualità dell’apprendimento, in cui i risvolti relazionali giocano un ruolo fondamentale. Eppure, in tutte le scuole la continuità è ormai una rarità, e perdere il proprio insegnante, se studenti, o le proprie classi, se docenti, nel passaggio da un anno all'altro, è esperienza più che frequente.

Il principio della continuità didattica è ormai costantemente minacciato da fattori diversi, molti dei quali sono l’effetto delle novità introdotte da quell’insieme di provvedimenti che va sotto il nome di riforma Gelmini. Si pensi, per la scuola elementare, a quello che è successo con la scomparsa del sistema dei moduli e con l’introduzione di un maestro prevalente: una classe che lo scorso anno aveva tre insegnanti che coprivano il monte ore settimanale, quest’anno avrà un maestro prevalente per 22 ore e una serie di altri insegnanti, tra i quali non è affatto detto che ci siano quelli dell’anno precedente, per le ore restanti; la continuità didattica è di fatto interrotta e lo sarà tutti gli anni, almeno per quanto riguarda i maestri che ruotano intorno a quello prevalente. Per quanto riguarda la scuola secondaria di primo e secondo grado è invece il passaggio di tutte le cattedre a 18 ore di lezione a creare un principio costante di discontinuità. Inoltre, in tutti gli ordini di scuola, l’aumento del numero degli alunni per classe e la conseguente riduzione delle cattedre hanno creato e continueranno a creare insegnanti soprannumerari che saranno costretti a lasciare la scuola in cui si trovano e dunque inevitabilmente le proprie classi.

Alla luce di queste osservazioni ci sembra quanto meno riduttivo imputare la mancanza di continuità didattica solo alla mobilità dei docenti, come ha fatto in alcune dichiarazioni la Ministra, dicendo di voler limitare la mobilità del personale, in modo da ridurre la girandola delle cattedre, o come fa la Fondazione Agnelli che, in uno studio recente, arriva ad identificare il tasso di mobilità con il tasso di discontinuità didattica d’istituto tout court e propone di disincentivare gli insegnanti alla mobilità. Da un lato, come si è visto, la mobilità dei docenti è spesso obbligata e d’altra parte bloccare i trasferimenti non servirebbe a ridurre la discontinuità che è data da una sorta di ‘mobilità interna’ dei docenti che ruotano sulle classi.

Nella nostra esperienza quotidiana, il diritto degli studenti e il diritto dei docenti sono dalla stessa parte, dalla parte della scuola pubblica: le classi che perdono i propri insegnanti e gli insegnanti che perdono le proprie classi sono vittime di alcune decisioni prese proprio dalla Ministra che si erge a paladina della continuità. Di fronte ai cambiamenti in corso nella scuola italiana, sentiamo l’esigenza di una riflessione che parta dalla realtà che si è determinata in questi ultimi anni, e provi a ricostruire un sistema di valori al cui centro ci sia un’idea di scuola come ‘lo’ spazio di crescita della società, esercitando una critica radicale all’idea di scuola subalterna, aziendale e nemica della cultura come quella che si sta avanzando.

Simona Luciani, Maria Cristina Zerbino


domenica 15 novembre 2009

Da quest’anno scolastico è entrata in vigore la riforma Gelmini:
È MIGLIORATA LA SCUOLA ITALIANA?
  • Con chi rimangono gli alunni quando manca l’insegnante?
  • C’è personale sufficiente a garantire la sorveglianza e la sicurezza degli alunni? Le classi hanno mantenuto i loro insegnanti?
  • Quanti insegnanti ruotano attorno ad una stessa classe della scuola elementare, media e superiore?
  • Sono ancora garantite le attività di recupero per gli alunni che ne hanno più bisogno?
  • Il numero degli insegnanti è ancora sufficiente per consentire le uscite didattiche?
  • È aumentato il numero di alunni per classe?
  • È aumentato il costo diretto della scuola per le famiglie?
  • I precari licenziati (bidelli, amministrativi e insegnanti) erano davvero superflui?
  • È garantito l’insegnamento alternativo alla religione?
Genitori, studenti, insegnanti e lavoratori della scuola: incontriamoci per discutere di continuità didattica, supplenze e sicurezza, mettendo in comune storie, esperienze e proposte.

Martedì 24 novembre 2009 - ore 17.00
Planetarietà (Via P. Falconieri 84, Roma)

giovedì 5 novembre 2009

Ecco alcuni degli argomenti di cui ci piacerebbe discutere

Scuola pubblica
Di fronte ai cambiamenti in corso nella scuola italiana, sentiamo l’esigenza di una riflessione che parta dalla realtà che si è determinata in questi ultimi anni, e provi a ricostruire un sistema di valori al cui centro ci sia un’idea di scuola come ‘lo’ spazio di crescita della società, esercitando una critica radicale all’idea di scuola subalterna, aziendale e nemica della cultura come quella che si sta avanzando.

Continuità didattica
Si tratta del principio per cui agli alunni, alla scuola, fa meglio cambiare pochi insegnanti e che è sicuramente un bene che un insegnante abbia un rapporto con una classe che sia il più possibile duraturo, sia per la trasmissione dei rudimenti di una disciplina, sia per la qualità dell’apprendimento, in cui i risvolti relazionali giocano un ruolo fondamentale. Eppure questo principio è oggi seriamente messo in discussione e la continuità è sempre di più un miraggio.

Gestione delle supplenze
In tutti gli ordini di scuola vi è ormai un’emergenza supplenze che viene affrontata con ‘rimedi’ vari: le classi vengono divise o accorpate in spregio alle regole sulla sicurezza, oppure affidate ai bidelli (come se non avessero già abbastanza da fare, visto che sono sempre di meno) o lasciate semplicemente sole. ‘Soluzioni’ già viste che quest’anno sono all’ordine del giorno e a cui si affiancano novità sconcertanti come l’invito, completamente fuorilegge, in alcune scuole elementari di utilizzare per le supplenze le ore di programmazione.

Compresenze
Nella scuola della meritocrazia e del voto in decimi, sembra che debbano sparire, come per incanto, tutte le difficoltà degli alunni: i più fragili, i più deboli saranno semplicemente più soli. Tutte le attività di recupero e di sostegno, garantite prima da alcune ore di compresenza in classe di due insegnanti, sono ora fortemente limitate: le compresenze sono diventate uno spreco che deve essere eliminato.

Sicurezza
Quello della sicurezza è un argomento centrale e estremamente delicato. Vari sono gli aspetti dei nuovi provvedimenti che suscitano perplessità:
  • aumento del numero di alunni per classe
  • diminuzione del personale ATA ai piani per gestire entrate e uscite, accompagnare i bambini al bagno, vigilare, garantire, anche se solo in parte l’igiene e la pulizia
  • accorpamento di classi o divisione degli alunni in altre classi in mancanza di un docente
  • sicurezza degli edifici
  • mancanza di manutenzione, aggravata negli ultimi anni da tagli dei finanziamenti alla scuola pubblica.

Uscite didattiche
Ancora sicurezza. Perché le uscite possano essere effettuate, è necessaria la presenza di un insegnante ogni 15 alunni: con l’eliminazione delle compresenze è più difficile realizzarle. La prassi consolidata delle uscite didattiche, come modalità diversa di insegnamento e apprendimento, è fortemente messa in discussione. Ma la didattica sembra non essere al centro della riflessione sulla scuola. L’unica preoccupazione è che i conti tornino.

Attività alternativa alla religione
Nella generale diminuzione dei diritti, e di fronte alla messa in discussione della stessa attività didattica ordinaria non è marginale ribadire il diritto a un tempo scuola di qualità per chi non si avvale dell’insegnamento dell’educazione cattolica. Sempre più spesso le scuole non riescono a garantire un insegnamento alternativo alla religione: nei casi più fortunati gli alunni devono lasciare la propria classe e seguire le lezioni su argomenti imprecisati in spazi improvvisati come i corridoi, nei casi peggiori vengono parcheggiati in altre classi e lasciati a loro stessi. Così, nella scuola secondaria, gli studenti sono lasciati soli a svolgere attività di studio individuale, cioè a vagare per la scuola, quando, come spesso accade, non ci sono spazi disponibili per accoglierli. Sono sempre più rare le scuole che offrono un’attività alternativa degna di tale nome.

Rivalutazione della figura del "lavoratore" della scuola
Ormai da diversi anni ha avuto luogo una progressiva svalutazione della figura di quanti lavorano nella scuola. Gli insegnanti, cui pure tutti affidano i propri figli per diverse ore al giorno, godono di uno scarso riconoscimento sociale e sono considerati dei privilegiati che lavorano poco, che hanno "tre mesi di vacanze l'anno" etc. etc. Si notano facilmente le loro eventuali carenze, ma si dà per scontato quanto di buono realizzano ogni giorno, con impegno e professionalità. Allo stesso modo, il lavoro del personale ATA, dai bidelli a coloro che prestano servizio nelle segreterie, è da un lato poco conosciuto, dall'altro poco considerato.
Riconoscere la dignità di questo lavoro nella difficile società attuale e nella scuola di oggi, tagliata in mille modi, ci sembra una priorità. Si parla tanto di meritocrazia, ma poi sono pochissimi gli strumenti reali per valutare ed apprezzare, ad esempio, la qualità del lavoro dei docenti che, di là dalle ore svolte in classe, hanno spesso un carico di lavoro non indifferente e che resta assolutamente ‘sommerso’. Aprire una discussione su questo argomento è fondamentale perché la scuola è fatta da chi ci lavora (dagli studenti ai bidelli) e non può esistere una scuola di qualità se chi la fa è, per vari aspetti, squalificato.

Sediciscuola il blog

  • Uno spazio aperto di discussione sul tema della scuola, della scuola pubblica, dal punto di vista delle scuole del Municipio XVI (e non solo).
  • Uno sguardo dal basso, per parlare e far parlare di scuola, per ripartire dalla realtà che viviamo quotidianamente nelle nostre scuole come lavoratori della scuola, genitori, docenti, studenti.
  • Un luogo di incontro per mettere in comune storie, esperienze, proposte.
  • Un’occasione di informazione e di partecipazione virtuale, ma non per questo meno reale per sapere cosa si muove nelle realtà scolastiche del nostro territorio: perché spesso è difficile trovare il tempo per prendere parte a incontri, riunioni, assemblee…

Rivolto a genitori, docenti, studenti, lavoratori della scuola e a chiunque ritiene che il tema della scuola lo riguardi

lunedì 2 novembre 2009

Riferimenti normativi

Riferimenti normativi dal sito Tecnica della scuola
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