Ogni anno puntuale come un vero orologio svizzero, giunge il momento delle prove dell'Invalsi. Per capire cosa è l'Invalsi rimando integralmente a questo mio precedente articolo che è ancora valido ed attuale.
mercoledì 23 marzo 2011
INVALSI: PARERE DELL’AVVOCATO
Lettera di un genitore sulle prove Invalsi
Al Dirigente Scolastico dell’I.C. Albertelli-Newton
-Al Dirigente Scolastico del Liceo “Bertolucci”
-Al Collegio Docenti e Consiglio d’Istituto dell’I.C. Albertelli-Newton
- Al Collegio Docenti e Consiglio d’Istituto del Liceo “Bertolucci”
e p.c.- Agli organi di stampa
Sono un genitore di un’alunna di quinta elementare e di una di seconda superiore. Dall’11 al 13 maggio le loro classi saranno “obbligate” a sottoporsi alle prove INVALSI.
Mi pare di aver capito che l’unico modo, come genitore e cittadino, per manifestare l’indisponibilità alla realizzazione di queste prove, sia quello di far “assentare” le mie figlie da scuola. Se non mi verranno fornite altre alternative, dovremo farlo. Provo ad argomentare le motivazioni che stanno alla base di questa forma di protesta, affinchè possano essere motivo di riflessione per altri genitori, docenti e dirigenti: IL PROGETTO DI SPERIMENTAZIONE DEL MERITO: Nell’ a.s. 2010-2011 il Ministero dell’Istruzione sta sperimentando un progetto di premialità del merito per le scuole di alcune province (Siracusa, Pisa, Massa). Il progetto prevede un premio fino a 70.000 € al 15% delle scuole più “brave”. Tra i 3 indicatori che stileranno la classifica delle scuole, vi sono i test INVALSI. Il Ministero intende applicare questa metodologia sperimentale a tutte le scuole italiane, a partire dall’a.s.2011-2012. Vi è un nesso sostanziale tra prove INVALSI e premialità del merito.
LA LOGICA DEL PREMIO: Negli ultimi 3 anni il Ministero dell’Istruzione ha tagliato più di 8 miliardi di euro alla scuola pubblica; il Ministero del Tesoro ha bloccato per vari anni i contratti del personale, gli stipendi e gli scatti di anzianità. Le conseguenze di queste decisioni le stiamo sperimentando tutti i giorni. Ora, con il 30% di questi risparmi, vogliono premiare “fino ad un massimo del 15-20%, i più meritevoli”. Non credo che questa sia una logica cooperativa ed umana.
E’ una spinta competitiva che produrrà solo danni e impoverimento della scuola pubblica. Tagliare a tutti per premiare pochi credo sia l’esatto contrario di quanto preveda la nostra Costituzione come prospettiva di scuola pubblica. Confidare che soltanto la logica della competizione scuota e salvi la scuola pubblica, è come tirare un calcio ad un computer e sperare che si aggiusti! Ce lo si puo’ aspettare da un ragazzino, non da un Governo.
CHI VINCE E CHI PERDE: Negli ultimi tre anni, vi è stata una continua pressione affinché entrasse nella scuola pubblica la logica “meritocratica”. Introduzione del voto numerico in tutti gli ordini di scuola, riforma Brunetta, progetti di premialità ai docenti e alle scuole, ecc. A tutto ci si abitua, ed ora non ci indigna più il fatto che un bambino di 6 anni riceva “2”, “4”, ed un altro tutti “10”. E’ ciò che si “meritano”! Nella vita c’è chi vince e c’è chi perde…..E’ ora di finirla con questo egualitarismo sessantottino, ci ricordava un Ministro che forse si intende di economia, ma che quando ha preteso di estendere le sue decisioni in campo educativo, ha prodotto ciò che abbiamo sotto gli occhi! La scuola pubblica deve essere una clinica per i sani, in cui certificare i dislivelli socio-culturali di partenza, oppure un’opportunità di crescita per tutti, nel rispetto delle differenze e dei cammini personali?
STENDERE CLASSIFICHE AIUTA AD APPRENDERE E A MIGLIORARSI?: Fino a quando un bambino, un adolescente, un ragazzo percepisce che ha una possibilità, una speranza di farcela, resta in gara e può migliorarsi. Quando capisce che la gare non è equa, che non ce la farà mai a vincere, alle condizioni date, rinuncia e cerca altre strade (e sappiamo quanto possono essere distruttive!). Davvero, come genitori, come docenti, come cittadini, crediamo che basterà costruire delle classifiche, perchè tutto migliori, come per magia? Chi lo ha fatto da sempre, come il sistema scolastico Statunitense ed Inglese, si rende conto di quali sacche di emarginazione e di diseguaglianza produce, a fronte di pochi “arrivati”.
QUALI SONO LE FINALITA’ DELLE PROVE INVALSI?: Servono per misurare le competenze linguistiche e matematiche degli alunni? Per misurare il grado di preparazione fornito dalla scuola? Per comparare le scuole tra di loro? Per comparare zone geografiche d’Italia e realtà socioeconomiche diverse? Per valutare i docenti? Per stendere delle classifiche di premialità? Per fare della statistica con poco investimento e molti utenti?
COME SONO UTILIZZATE LE PROVE INVALSI DAL SISTEMA SCOLASTICO? Per ora ci si affanna soltanto a definirle “obbligatorie” con una semplice nota di un dirigente Ministeriale. I Dirigenti non permettono ai Collegi Docenti di esprimere la propria opinione in merito all’adesione alle prove e “obbligano” i docenti a somministrarle e correggerle, per poi inviarne i risultati al Ministero. Per cosa sono utilizzati questi risultati? Per decidere su quali realtà investire? Quali realtà punire? Per fare dichiarazioni politiche semplicistiche, sulla base di conclusioni già evidenti in partenza? (“I dati di ciascuna rilevazione segnalano come una costante del nostro Paese che le regioni del Nord ottengono risultati in genere più elevati di quelli del Centro e del Sud. Queste differenze sono più o meno significative a seconda delle classi considerate”. “I risultati degli studenti immigrati, specialmente quelli di prima generazione, sono sempre più bassi di quelli degli italiani, ma sono anche molto uniformi sul territorio nazionale. Le piccole differenze osservate non sono in genere statisticamente significative”). Intanto i docenti più scrupolosi, per paura dell’effetto delle valutazioni INVALSI sulla propria classe e sulla propria autostima, fanno comprare alle famiglie libretti di allenamento alle prove INVALSI e convertono la propria didattica ad una preparazione ai test. E’ questo l’effetto feedback sperato?
IL QUESTIONARIO AGLI ALUNNI: All’interno delle Prove INVALSI di quinta dell’a.s.2010 vi era un questionario agli alunni con domande del tipo: quanti libri hai in casa? (corredato da una pagina di disegnini, per orientarsi meglio nella propria libreria) abitualmente con chi vivi? Sono stato picchiato da altri bambini a scuola?, ecc.. Con quali finalità si chiedono dati e valutazioni personali molto delicati ad alunni di dieci anni, senza un consenso ed una conoscenza esplicita da parte delle famiglie? Per poter correlare meglio i risultati con lo status socio-economico o per quali altri motivi di ricerca?
L’OBBEDIENZA NON E’ Più UNA VIRTU’: Interpellati sul senso delle Prove Invalsi, tanti Dirigenti e docenti stanno rispondendo che “siamo obbligati a farle”. A parte l’opinabilità giuridica di queste risposte, credo occorra andare al senso profondo: se è vero che è necessario essere valutati, siamo sicuri che questo sia lo strumento giusto per valutare una realtà complessa come quella della scuola pubblica? Con un test a risposta chiusa di Italiano e Matematica siamo a posto? Avremo uno spaccato affidabile delle scuole e dei docenti? Dei finanziamenti alle scuole e delle risorse mai arrivate? Delle risorse tagliate e mal distribuite? Del diritto allo studio negato, di fatto, per problemi organizzativi e strutturali? Don Milani ci ricorda che l’obbedienza ha senso solo quando è difesa del più debole, non quando è accettazione acritica di semplificazioni e propaganda, che cancellano le vere problematiche sottostanti e non affrontate.
Spero che queste mie semplici osservazioni permettano di approfondire una riflessione critica all’interno delle nostre scuole… Cordiali saluti
Giordano Mancastroppa
martedì 22 marzo 2011
INVALSI: PERCHE’ NO
Sono ormai diversi anni che le scuole italiane vengono sottoposte ai test INVALSI, un sistema di valutazione sostenuto da governi di ogni colore e raccomandato da numerose direttive europee.
I risultati statistici delle prove OCSE-PISA, presentati con grande risalto giornalistico, vengono portati a conferma della necessità di introdurre un sistema di valutazione oggettivo della qualità degli apprendimenti (che è poi come dire della qualità degli insegnamenti, cioè dei docenti). I giornali non danno invece nessun risalto a quegli studi che mettono in discussione la scientificità delle prove OCSE-PiSA e dunque la loro validità statistica (vedi bibliografia).
Intanto di anno in anno le prove si sono fatte sempre più invasive: dall’obbligatorietà del quiz in terza media introdotta dal Ministro Fioroni all’allargamento della rilevazione a tutte le classi di tutte le scuole italiane, fino alla somministrazione di un “questionario per lo studente” al limite della schedatura di massa. Tale pervasività ogni docente può misurarla nei libri di testo che offrono in misura sempre maggiore strumenti di allenamento ai quiz.
Il tutto nella completa disinformazione dei genitori e nello scetticismo dei docenti che non è mai riuscito però a diventare una chiara e aperta contestazione agli INVALSI e a ciò che essi rappresentano.
Perché gli INVALSI sono pericolosissimi: essi rappresentano uno strumento strutturale e decisivo nella direzione della privatizzazione della scuola italiana e stravolgono quella che storicamente è stata la funzione della nostra scuola pubblica.
1) L’approccio didattico, di stampo anglosassone, è diametralmente opposto a quello della scuola italiana, con particolare riferimento al segmento della scuola primaria: all’insegnamento il più possibile individualizzato, che tiene conto dell’universo sociale-culturale-affettivo dell’allievo, si sostituisce una prova oggettiva asettica, che annulla, di colpo, la soggettività non solo dell’alunno, ma anche dell’insegnante; la relazione intersoggettiva, basilare in ogni sano rapporto pedagogico, è sostituita da una performance e una valutazione oggettive.
2) La scuola pubblica italiana si distingue a livello internazionale per l’integrazione degli alunni diversamente abili e per aver abolito le scuole speciali e le classi differenziali (L.517/’77). Vengono così riconosciuti sia il diritto allo studio per tutti, sia la diversità come valore. La decisione di far partecipare gli alunni disabili alle prove è rimessa alla scuola. Nel caso che questa decida per la partecipazione, i risultati dovranno essere elaborati in maniera a sè stante così da non incidere sul risultato medio della scuola o della classe. Ciò significa che la disabilità non rientra nel sistema di valutazione INVALSI e che, quindi, gli alunni disabili divengono inesistenti, così come viene ignorato l’impegno delle scuole affinché essi raggiungano le piene competenze secondo le loro potenzialità. Inoltre, è previsto che gli alunni con diagnosi di DSA (dislessia) partecipino alle prove nelle stesse condizioni degli altri!
3) Solo il fascismo dal 1929 era riuscito ad imporre l’assurdo di identici percorsi didattici in tutta la nazione. L’apprendimento non si può valutare allo stesso modo nei diversi contesti, proprio per questo gli insegnanti si confrontano e producono molteplici offerte didattiche, cambiano idea, ascoltano gli allievi e le allieve, ci parlano. Questa è la vera didattica, flessibile, individualizzata, che tiene conto dei diversi contesti: la standardizzazione è nemica dell’insegnamento di qualità.
4) Le prove INVALSI hanno un potente effetto retroattivo: alle prove “ci si prepara” e ore di buona didattica, vengono sostituite da allenamenti ai quiz; questo accade perché i docenti ben sanno che saranno loro ad essere valutati e dunque, per non “fare brutta figura” modellano la loro programmazione in modo da addestrare il più possibile la loro classe alla modalità a quiz. Così ad esempio crescono le prove a crocette, stanno tornando in auge le nomenclature grammaticali imparate a memoria come fino agli anni Sessanta. Ciò non ha alcun senso, se non quello di scimmiottare prove di bassa qualità preparate da persone lontane dalla scuola reale e dalla sua evoluzione
5) Le prove non misurano la buona didattica né il buon insegnante: un buon insegnante è colui che, rispettando i tempi e le attitudini dei suoi allievi, riesce ad appassionarli alla sua materia, riesce a coinvolgerli e a motivarli nello studio; tutto questo non si misura;
6) Trasformano dall’interno lo statuto delle discipline: nel giro di qualche anno le materie interessate dall’INVALSI hanno cambiato natura; pensiamo ad esempio alla prova di italiano: il tema ha perso centralità a favore della comprensione del testo; ad una prova in grado di restituire, più di ogni altra, la complessità dello studente (competenze, saperi, soggettività), si preferisce ormai una prova completamente decontestualizzata: un brano che solo per pudore viene scelto tra i brani d’autore, senza che di quell’autore importi né la poetica né il momento storico in cui ha vissuto; anche la matematica, disciplina anch’essa complessa, si sta rapidamente riducendo ad un molto più applicativo problem solving, minando appunto lo statuto stesso della disciplina.
7) Scientificamente sono un fallimento. Un esempio: quelli fatti svolgere alle secondarie di primo grado lo scorso anno hanno dato risultati che differivano da quelli conosciuti in base alle ricerche Pisa. Come rimediare? Gli astuti tecnici dell’Invalsi hanno deciso di elaborare un coefficiente per cui moltiplicare i risultati inverosimili, in modo da trasformarli in verosimili! Incredibile ma vero!
8) Sono dannosi emotivamente per i bambini e le bambine. L’insegnamento della lettura si basa sul rispetto dei tempi dei bambini. Ognuno ha i suoi ritmi ed è doveroso rispettarli. Invece per la classe Seconda della scuola primaria (7 anni) l’invalsi propone la prova cronometrata di lettura, cronometro alla mano. Nell’insegnamento della scrittura i bambini usano la matita, affinché l’errore non sia irrimediabile e non diventi un dramma emotivo; invece l’Invalsi obbliga all’uso della penna biro non cancellabile. Ma in qualunque segmento di scuola, lo stress emotivo è fortissimo: le prove sono pensate per risposte in velocità, si tratta di prove a tempo (1/2 ora o un’ora) a malapena sufficiente a rispondere a tutti i quiz. Esattamente il contrario di ciò che un buon insegnante non smette mai di raccomandare: “Non bisogna avere fretta nelle risposte, bisogna riflettere bene e a lungo, ecc.”. Nelle scuole inglesi lo “stress da QUIZ” è ormai riconosciuto anche dagli psicopedagiogisti.
9) Sono la premessa alla valutazione e gerarchizzazione retributiva dei docenti. Dai diversi documenti dell’Invalsi emerge chiaramente che questa schedatura di bambini, docenti e scuole è finalizzata in prospettiva a differenziare le retribuzioni dei docenti. Sia chiaro: nel progetto di sperimentazione presentato dalla Gelmini gli INVALSI, al momento, servono a misurare le scuole nel loro complesso, mentre per premiare il singolo docente è previsto un nucleo interno di valutazione che valuterà dati non meglio precisati. Ciò che accade negli altri Stati ci porta a pensare che anche in Italia l’obiettivo sia quello di piegare la libertà d’insegnamento alla logica delle competenze e dei quiz e di farlo utilizzando gli aumenti stipendiali. Ovviamente, come ben sa chi vive la scuola, non verrà premiato l’insegnante migliore, bensì quello che si adatterà più agilmente a questa didattica burocratica e di regime. Dobbiamo tener presente che il progetto di legge Aprea, collegato al merito nel pubblico impiego di Brunetta, prevede la diversificazione delle carriere (cioè degli stipendi dei docenti); uno dei parametri sarà “l’efficacia dell’azione didattica e formativa”; Quando il nostro stipendio dipenderà dai risultati delle prove INVALSI, allora la scuola italiana si trasformerà in una palestra di addestramento ai quiz.
10) Esasperano la competizione: spingono gli alunni a rivaleggiare tra di loro, gli insegnanti a mettersi in competizione anziché scambiarsi le buone pratiche, le scuole saranno sempre più in concorrenza tra loro, nel gioco al massacro dell’accaparramento di “clienti” attirati con progettualità tanto altisonanti quanto inconsistenti.
11) Non servono a migliorare la qualità della scuola: se qualcuno pensasse che, una volta arrivati i risultati delle scuole, il ministero se ne servisse per aumentare i finanziamenti per le scuole risultate più deboli, sarebbe del tutto fuori strada. Nella meritocrazia succede esattamente il contrario: avranno più soldi le scuole che otterranno risultati maggiori; e che faranno, ci chiediamo, quei bambini che, casualità vuole, sono finiti in una scuola di serie B o C? Se la terranno, alla faccia del diritto per tutti a una scuola di qualità. Certo è che il loro titolo di studio varrà di meno, come in ogni privatizzazione che si rispetti. Tutto questo, malgrado nel documento di Sintesi dell’INVALSI sulla valutazione degli apprendimenti dell’anno scolastico 2009/2010 l’ampia disuguaglianza dei risultati scolastici nelle regioni meridionali venga associata più all’alta disuguaglianza del reddito che alle caratteristiche strutturali dei singoli sistemi scolastici. Si può facilmente dedurre che ci sia la volontà di lasciare indietro chi è già è in situazione di disagio economico e socio-culturale, di non intervenire per diminuire la dispersione scolastica, ma di
invertire il diritto costituzionalmente garantito di offrire a tutti le stesse opportunità formative a favore della premialità.
12) Le prove non sono anonime: le prove non sono affatto anonime e permetteranno una tracciabilità delle performance dai 7 anni in su: di fatto una schedatura delle competenze di massa e prolungata nel tempo. Sono anni che si affannano a dire che i quiz sono anonimi e che hanno una finalità puramente statistica; e allora a che serve un codice che collega ogni prova a un bambino ben preciso? Si tratta di una tracciabilità che non ha nessuna utilità a fini statistici: se voglio fare un’indagine davvero anonima, semplicemente entro nelle classi, distribuisco i quiz e poi li analizzo; non mi interessa che quel quiz lo abbia fatto un bambino o un altro; da un punto di vista statistico mi interessano l’età, la collocazione geografica della scuola, il numero di bambini per classe, ecc, MA NON IL NOME DEL BAMBINO: è un elemento non statistico. Ma, dicono, questi sono dati sensibili che restano custoditi dalle scuole; perché? Che se ne fanno le scuole? Se non se ne fanno niente, allora tanto vale non abbinare la prova al singolo. E’ ovvio invece che vorranno in qualche modo utilizzare questa tracciabilità, magari per misurare, come dicono loro, il valore aggiunto delle scuole e dei singoli docenti. La tracciabilità inoltre permetterà, appena lo decideranno, di costruire finalmente quel portfolio delle competenze lungo l’arco della vita iniziando dai sette anni.
http://www.cobas-scuola.it
INVALSI: PERCHE’ NO
Sono ormai diversi anni che le scuole italiane vengono sottoposte ai test INVALSI, un sistema di valutazione sostenuto da governi di ogni colore e raccomandato da numerose direttive europee.
I risultati statistici delle prove OCSE-PISA, presentati con grande risalto giornalistico, vengono portati a conferma della necessità di introdurre un sistema di valutazione oggettivo della qualità degli apprendimenti (che è poi come dire della qualità degli insegnamenti, cioè dei docenti). I giornali non danno invece nessun risalto a quegli studi che mettono in discussione la scientificità delle prove OCSE-PiSA e dunque la loro validità statistica (vedi bibliografia).
Intanto di anno in anno le prove si sono fatte sempre più invasive: dall’obbligatorietà del quiz in terza media introdotta dal Ministro Fioroni all’allargamento della rilevazione a tutte le classi di tutte le scuole italiane, fino alla somministrazione di un “questionario per lo studente” al limite della schedatura di massa. Tale pervasività ogni docente può misurarla nei libri di testo che offrono in misura sempre maggiore strumenti di allenamento ai quiz.
Il tutto nella completa disinformazione dei genitori e nello scetticismo dei docenti che non è mai riuscito però a diventare una chiara e aperta contestazione agli INVALSI e a ciò che essi rappresentano.
Perché gli INVALSI sono pericolosissimi: essi rappresentano uno strumento strutturale e decisivo nella direzione della privatizzazione della scuola italiana e stravolgono quella che storicamente è stata la funzione della nostra scuola pubblica.
1) L’approccio didattico, di stampo anglosassone, è diametralmente opposto a quello della scuola italiana, con particolare riferimento al segmento della scuola primaria: all’insegnamento il più possibile individualizzato, che tiene conto dell’universo sociale-culturale-affettivo dell’allievo, si sostituisce una prova oggettiva asettica, che annulla, di colpo, la soggettività non solo dell’alunno, ma anche dell’insegnante; la relazione intersoggettiva, basilare in ogni sano rapporto pedagogico, è sostituita da una performance e una valutazione oggettive.
2) La scuola pubblica italiana si distingue a livello internazionale per l’integrazione degli alunni diversamente abili e per aver abolito le scuole speciali e le classi differenziali (L.517/’77). Vengono così riconosciuti sia il diritto allo studio per tutti, sia la diversità come valore. La decisione di far partecipare gli alunni disabili alle prove è rimessa alla scuola. Nel caso che questa decida per la partecipazione, i risultati dovranno essere elaborati in maniera a sè stante così da non incidere sul risultato medio della scuola o della classe. Ciò significa che la disabilità non rientra nel sistema di valutazione INVALSI e che, quindi, gli alunni disabili divengono inesistenti, così come viene ignorato l’impegno delle scuole affinché essi raggiungano le piene competenze secondo le loro potenzialità. Inoltre, è previsto che gli alunni con diagnosi di DSA (dislessia) partecipino alle prove nelle stesse condizioni degli altri!
3) Solo il fascismo dal 1929 era riuscito ad imporre l’assurdo di identici percorsi didattici in tutta la nazione. L’apprendimento non si può valutare allo stesso modo nei diversi contesti, proprio per questo gli insegnanti si confrontano e producono molteplici offerte didattiche, cambiano idea, ascoltano gli allievi e le allieve, ci parlano. Questa è la vera didattica, flessibile, individualizzata, che tiene conto dei diversi contesti: la standardizzazione è nemica dell’insegnamento di qualità.
4) Le prove INVALSI hanno un potente effetto retroattivo: alle prove “ci si prepara” e ore di buona didattica, vengono sostituite da allenamenti ai quiz; questo accade perché i docenti ben sanno che saranno loro ad essere valutati e dunque, per non “fare brutta figura” modellano la loro programmazione in modo da addestrare il più possibile la loro classe alla modalità a quiz. Così ad esempio crescono le prove a crocette, stanno tornando in auge le nomenclature grammaticali imparate a memoria come fino agli anni Sessanta. Ciò non ha alcun senso, se non quello di scimmiottare prove di bassa qualità preparate da persone lontane dalla scuola reale e dalla sua evoluzione
5) Le prove non misurano la buona didattica né il buon insegnante: un buon insegnante è colui che, rispettando i tempi e le attitudini dei suoi allievi, riesce ad appassionarli alla sua materia, riesce a coinvolgerli e a motivarli nello studio; tutto questo non si misura;
6) Trasformano dall’interno lo statuto delle discipline: nel giro di qualche anno le materie interessate dall’INVALSI hanno cambiato natura; pensiamo ad esempio alla prova di italiano: il tema ha perso centralità a favore della comprensione del testo; ad una prova in grado di restituire, più di ogni altra, la complessità dello studente (competenze, saperi, soggettività), si preferisce ormai una prova completamente decontestualizzata: un brano che solo per pudore viene scelto tra i brani d’autore, senza che di quell’autore importi né la poetica né il momento storico in cui ha vissuto; anche la matematica, disciplina anch’essa complessa, si sta rapidamente riducendo ad un molto più applicativo problem solving, minando appunto lo statuto stesso della disciplina.
7) Scientificamente sono un fallimento. Un esempio: quelli fatti svolgere alle secondarie di primo grado lo scorso anno hanno dato risultati che differivano da quelli conosciuti in base alle ricerche Pisa. Come rimediare? Gli astuti tecnici dell’Invalsi hanno deciso di elaborare un coefficiente per cui moltiplicare i risultati inverosimili, in modo da trasformarli in verosimili! Incredibile ma vero!
8) Sono dannosi emotivamente per i bambini e le bambine. L’insegnamento della lettura si basa sul rispetto dei tempi dei bambini. Ognuno ha i suoi ritmi ed è doveroso rispettarli. Invece per la classe Seconda della scuola primaria (7 anni) l’invalsi propone la prova cronometrata di lettura, cronometro alla mano. Nell’insegnamento della scrittura i bambini usano la matita, affinché l’errore non sia irrimediabile e non diventi un dramma emotivo; invece l’Invalsi obbliga all’uso della penna biro non cancellabile. Ma in qualunque segmento di scuola, lo stress emotivo è fortissimo: le prove sono pensate per risposte in velocità, si tratta di prove a tempo (1/2 ora o un’ora) a malapena sufficiente a rispondere a tutti i quiz. Esattamente il contrario di ciò che un buon insegnante non smette mai di raccomandare: “Non bisogna avere fretta nelle risposte, bisogna riflettere bene e a lungo, ecc.”. Nelle scuole inglesi lo “stress da QUIZ” è ormai riconosciuto anche dagli psicopedagiogisti.
9) Sono la premessa alla valutazione e gerarchizzazione retributiva dei docenti. Dai diversi documenti dell’Invalsi emerge chiaramente che questa schedatura di bambini, docenti e scuole è finalizzata in prospettiva a differenziare le retribuzioni dei docenti. Sia chiaro: nel progetto di sperimentazione presentato dalla Gelmini gli INVALSI, al momento, servono a misurare le scuole nel loro complesso, mentre per premiare il singolo docente è previsto un nucleo interno di valutazione che valuterà dati non meglio precisati. Ciò che accade negli altri Stati ci porta a pensare che anche in Italia l’obiettivo sia quello di piegare la libertà d’insegnamento alla logica delle competenze e dei quiz e di farlo utilizzando gli aumenti stipendiali. Ovviamente, come ben sa chi vive la scuola, non verrà premiato l’insegnante migliore, bensì quello che si adatterà più agilmente a questa didattica burocratica e di regime. Dobbiamo tener presente che il progetto di legge Aprea, collegato al merito nel pubblico impiego di Brunetta, prevede la diversificazione delle carriere (cioè degli stipendi dei docenti); uno dei parametri sarà “l’efficacia dell’azione didattica e formativa”; Quando il nostro stipendio dipenderà dai risultati delle prove INVALSI, allora la scuola italiana si trasformerà in una palestra di addestramento ai quiz.
10) Esasperano la competizione: spingono gli alunni a rivaleggiare tra di loro, gli insegnanti a mettersi in competizione anziché scambiarsi le buone pratiche, le scuole saranno sempre più in concorrenza tra loro, nel gioco al massacro dell’accaparramento di “clienti” attirati con progettualità tanto altisonanti quanto inconsistenti.
11) Non servono a migliorare la qualità della scuola: se qualcuno pensasse che, una volta arrivati i risultati delle scuole, il ministero se ne servisse per aumentare i finanziamenti per le scuole risultate più deboli, sarebbe del tutto fuori strada. Nella meritocrazia succede esattamente il contrario: avranno più soldi le scuole che otterranno risultati maggiori; e che faranno, ci chiediamo, quei bambini che, casualità vuole, sono finiti in una scuola di serie B o C? Se la terranno, alla faccia del diritto per tutti a una scuola di qualità. Certo è che il loro titolo di studio varrà di meno, come in ogni privatizzazione che si rispetti. Tutto questo, malgrado nel documento di Sintesi dell’INVALSI sulla valutazione degli apprendimenti dell’anno scolastico 2009/2010 l’ampia disuguaglianza dei risultati scolastici nelle regioni meridionali venga associata più all’alta disuguaglianza del reddito che alle caratteristiche strutturali dei singoli sistemi scolastici. Si può facilmente dedurre che ci sia la volontà di lasciare indietro chi è già è in situazione di disagio economico e socio-culturale, di non intervenire per diminuire la dispersione scolastica, ma di
invertire il diritto costituzionalmente garantito di offrire a tutti le stesse opportunità formative a favore della premialità.
12) Le prove non sono anonime: le prove non sono affatto anonime e permetteranno una tracciabilità delle performance dai 7 anni in su: di fatto una schedatura delle competenze di massa e prolungata nel tempo. Sono anni che si affannano a dire che i quiz sono anonimi e che hanno una finalità puramente statistica; e allora a che serve un codice che collega ogni prova a un bambino ben preciso? Si tratta di una tracciabilità che non ha nessuna utilità a fini statistici: se voglio fare un’indagine davvero anonima, semplicemente entro nelle classi, distribuisco i quiz e poi li analizzo; non mi interessa che quel quiz lo abbia fatto un bambino o un altro; da un punto di vista statistico mi interessano l’età, la collocazione geografica della scuola, il numero di bambini per classe, ecc, MA NON IL NOME DEL BAMBINO: è un elemento non statistico. Ma, dicono, questi sono dati sensibili che restano custoditi dalle scuole; perché? Che se ne fanno le scuole? Se non se ne fanno niente, allora tanto vale non abbinare la prova al singolo. E’ ovvio invece che vorranno in qualche modo utilizzare questa tracciabilità, magari per misurare, come dicono loro, il valore aggiunto delle scuole e dei singoli docenti. La tracciabilità inoltre permetterà, appena lo decideranno, di costruire finalmente quel portfolio delle competenze lungo l’arco della vita iniziando dai sette anni.
fonte: www.cobas scuola.it
venerdì 18 marzo 2011
Pubblicata la circolare sugli organici: altri 19.700 posti in meno!
Ferme restando le istruzioni e le indicazioni di cui alla presente circolare, le SS. LL. porranno in essere autonomamente le azioni ritenute più funzionali e coerenti con gli specifici bisogni delle rispettive realtà territoriali, nonché, tenendo in debita considerazione le autonome scelte delle scuole, valuteranno la possibilità di attivare ulteriori iniziative volte al raggiungimento delle finalità di razionalizzazione e di contenimento della spesa, nel rispetto della qualità del servizio e dell’offerta formativa.
Un ruolo importante, ai fini della corretta e puntuale attuazione delle istruzioni e indicazioni di cui alla presente circolare, spetta alle istituzioni scolastiche e alla piena valorizzazione, da parte delle stesse, della quota di autonomia prevista dal D.P.R. n. 275/99 e successive modifiche e integrazioni (vedi i regolamenti concernenti il II ciclo). Sarà cura, pertanto, dell’istituzione scolastica, una volta avuta contezza delle proprie risorse di organico, articolare il tempo scuola secondo criteri e modalità che consentano il migliore impiego delle risorse, l’ampliamento del servizio e l’incremento dell’offerta formativa; il tutto valorizzando, le potenzialità proprie dall’autonomia organizzativa e didattica. [TEMPO PIENO "FAI DA TE"?]
Lo schema di decreto interministeriale riporta nella colonna “A” della tabella F le entità delle riduzioni da effettuare in organico di diritto a livello nazionale e regionale e nella colonna “B” i posti derivanti dagli ulteriori interventi di dimensionamento della rete scolastica.
Come negli anni decorsi, sono consentite compensazioni tra i contingenti di organico relativi ai diversi gradi di scolarità, anche nell’ottica, ove possibile, dell’estensione del tempo pieno.
Si richiama la particolare attenzione delle SS.LL. e degli operatori impegnati nelle operazioni di definizione e gestione degli organici, sull’esigenza che siano valutate in maniera pun-tuale le risorse da destinare ad ogni segmento di istruzione e a ciascuna istituzione scolastica, onde evitare situazioni di squilibrio e/o di svantaggio.
Per quanto concerne le ore di insegnamento delle materie alternative alla religione catto-lica, si fa presente che è in corso di emanazione una apposita intesa tra il MIUR e il MEF, che chiarisce i vari profili della materia e detta disposizioni e istruzioni per la parte relativa agli a-spetti contrattuali e retributivi.
mercoledì 16 marzo 2011
martedì 15 marzo 2011
22 marzo 2011 - Assemblea pubblica
Coordinamento Genitori insegnanti Crispi
Star bene a scuola:
genitori e insegnanti come comunità educante
Martedì 22 Marzo 2011 ore 16,45
Scuola F. Crispi via A. G. Barrili, 13
Genitori e insegnanti si incontrano per discutere di:
· Continuità con la scuola dell'infanzia
· Programmi e tempi dell'apprendimento
· Compiti a casa e a scuola: l’aiuto dei genitori
· Il senso della valutazione: tra gratuità e prestazione; i voti
· Proposte per incontri successivi
Introduce la Dirigente del I Circolo Didattico Renata Puleo
Segue dibattito a tutto campo
lunedì 14 marzo 2011
La foto del flash mob di Venerdì 11
martedì 8 marzo 2011
Piero Calamandrei sulla scuola pubblica
Un classico sempre attuale...
di Piero Calamandrei
Roma 11 febbraio 1950
[Pubblicato in "Scuola democratica", periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]