mercoledì 23 marzo 2011

INVALSI: PARERE DELL’AVVOCATO

Ogni anno puntuale come un vero orologio svizzero, giunge il momento delle prove dell'Invalsi. Per capire cosa è l'Invalsi rimando integralmente a questo mio precedente articolo che è ancora valido ed attuale.

Voglio ara soffermarmi brevemente sulla violazione posta in essere tramite i questionari dell'Invalsi, sulla privacy della normale vita familiare dello studente, ed in particolar modo sulla mera intrusione arbitraria posta in essere dal MIUR nella sfera della vita privata dell'individuo in violazione con Convenzioni che sono fonte di rango primario di diritto sia interno che europeo.

Sul sito dell'Invalsi si legge che alle segreterie delle scuole sarà richiesto di raccogliere una serie di informazioni sugli studenti, e precisamente: nazionalità (italiana o straniera), livello di istruzione e occupazione dei genitori, orario settimanale della classe frequentata, frequenza o meno dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia ecc.
Le prove per il corrente anno scolastico saranno così strutturate:

* 10 Maggio 2011: prova di Italiano, di Matematica e Questionario studente per la classe II della scuola secondaria di secondo grado;
* 11 Maggio 2011: prova di preliminare di lettura (decodifica strumentale) della durata di due minuti per la II primaria e prova di Italiano per la II e V primaria;
* 12 Maggio 2011: prova di Italiano, di Matematica e Questionario studente per la classe I della scuola secondaria di primo grado;
* 13 maggio 2011: prova di Matematica per la II e V primaria e Questionario studente per la V primaria.

Il Questionario invasivo, come è giusto definirlo, nella precedente rilevazione che era rivolto a tutte e tutti gli studenti e le studentesse delle classi 5° primaria 1° secondaria di I grado delle scuole partecipanti all’indagine INVALSI nell’anno scolastico 2009/2010, prevedeva delle domande sensibili che riguardavano l'ambiente familiare.

Sempre sul sito dell'Invalsi sul punto si leggeva che con la composizione del nucleo familiare si vogliono indagare le tipologie di famiglia in cui i bambini vivono. Il numero degli eventuali fratelli o sorelle può essere considerato come un indicatore di vincoli economici familiari. Inoltre la domanda relativa al possesso di una camera individuale – in presenza di fratelli – può dare indicazioni sullo status economico della famiglia. Tra le risorse disponibili in casa, comunemente indagate nelle ricerche internazionali come indicatore di status economico, si è scelto di focalizzare l’attenzione su quelle direttamente connesse allo studio. Pertanto l’indagine delle risorse educative disponibili a casa viene considerata soprattutto come un indicatore delle condizioni familiari di supporto allo studio.
Si precisava anche che come ulteriore indicatore di opportunità di sostegno familiare nei compiti, e di rinforzo domestico della lingua usata a scuola, è stata inserita una domanda sulla lingua parlata a casa. L’interesse è rivolto – nel caso italiano – non solo all’uso in famiglia di una lingua straniera, ma anche all’utilizzo prevalente di un dialetto.


Il Questionario studente per esempio per la 5^ primaria era composto da 17 domande organizzate in un determinato schema ove emergeva in particolar modo la necessità di rispondere a: Risorse disponibili a casa – numerosità di libriDisponibilità di un aiuto nei compiti per casa; Lingua parlata a casa.
Tali domande pongono in chiara difficoltà il ragazzo o la ragazza, e permettono di delineare un profilo dello status sociale dell'individuo che comporta una invasione da parte dell'Amministrazione nella sfera della vita privata della persona.
La Convenzione sui diritti dell'infanzia ratificata in Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176 che è dotata di valenza obbligatoria e vincolante, obbligando gli Stati che l'hanno ratificata a uniformare le norme di diritto interno a quelle della Convenzione e ad attuare tutti i provvedimenti necessari ad assistere i genitori e le istituzioni nell'adempimento dei loro obblighi nei confronti dei minori., prevede all'articolo 16 che Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti.

La legislazione italiana sulla protezione dei dati personali, in attuazione della direttiva n. 95/46/CE, ha fissato una serie di norme volte a garantire che “il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche” (art. 2 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196).
Il Garante per la Tutela della Privacy ha recentemente pubblicato una guida sulla privacy nella scuola http://www.garanteprivacy.it/garante/doc.jsp?ID=1723730 dove emerge che
Svolgere attività di ricerca con la raccolta di informazioni personali, spesso anche sensibili, tramite
questionari da sottoporre agli alunni, è consentito soltanto se i ragazzi, o i genitori nel caso di minori, sono stati preventivamente informati sulle modalità di trattamento e conservazione dei dati raccolti e sulle misure di sicurezza adottate. Gli intervistati, inoltre, devono sempre avere la facoltà di non aderire all’iniziativa.

L'articolo 8 della CEDU (Rispetto della vita privata e della vita familiare) prevede che
Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.» La Corte Costituzionale con le sentenze nn.348 e 349 del 2007 riconosce per la prima volta rango sovra-legislativo, ai sensi dell’articolo 117, primo comma Cost., alle disposizioni della CEDU, purché queste ultime non siano in contrasto con i princìpi ed i diritti fondamentali stabiliti nella prima parte del testo della Costituzione.
Quindi le azioni positive statali nei confronti dell'individuo, sia le omissioni, possono integrare gli estremi di una interferenza, suscettibile quindi di ledere diritti protetti dalla CEDU, che necessita quindi di giustificazione ai sensi dell'art. 8, comma 2.

Quindi tanto detto, occorre verificare in via preliminare se le famiglie delle classi interessate per quanto concerne i minori sono state preventivamente informate in tema di privacy ed hanno prestato il loro consenso perchè il proprio/a figlio/a possa svolgere la prova ivi considerata. In caso contrario le famiglie non devono far partecipare i propri figli alla detta somministrazione. Famiglie che in ogni caso possono manifestare la loro legittima contrarietà anche per i motivi sopra esposti.
Tale raccolta di dati, come ricordato in questo articolo a cui si rimanda, si reputa in contrasto con quanto previsto dal codice sulla privacy in tema di dati sensibili. Si suggerisce al genitore interessato di avvalersi quanto meno delle tutele previste dall'articolo 7 (Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti) del Codice in tema di Privacy che si riporta integralmente:
L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile. L'interessato ha diritto di ottenere l’indicazione:
a) dell'origine dei dati personali;
b) delle finalità e modalità del trattamento;
c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l'ausilio di strumenti elettronici;
d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell'articolo 5, comma 2;
e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.
3. L'interessato ha diritto di ottenere:
a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati;
b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non e' necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;
c) l'attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.
4. L'interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:
a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;
b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.


Marco Barone

Lettera di un genitore sulle prove Invalsi

Al Dirigente Scolastico dell’I.C. Albertelli-Newton

-Al Dirigente Scolastico del Liceo “Bertolucci”

-Al Collegio Docenti e Consiglio d’Istituto dell’I.C. Albertelli-Newton

- Al Collegio Docenti e Consiglio d’Istituto del Liceo “Bertolucci”

e p.c.- Agli organi di stampa

Sono un genitore di un’alunna di quinta elementare e di una di seconda superiore. Dall’11 al 13 maggio le loro classi saranno “obbligate” a sottoporsi alle prove INVALSI.

Mi pare di aver capito che l’unico modo, come genitore e cittadino, per manifestare l’indisponibilità alla realizzazione di queste prove, sia quello di far “assentare” le mie figlie da scuola. Se non mi verranno fornite altre alternative, dovremo farlo. Provo ad argomentare le motivazioni che stanno alla base di questa forma di protesta, affinchè possano essere motivo di riflessione per altri genitori, docenti e dirigenti: IL PROGETTO DI SPERIMENTAZIONE DEL MERITO: Nell’ a.s. 2010-2011 il Ministero dell’Istruzione sta sperimentando un progetto di premialità del merito per le scuole di alcune province (Siracusa, Pisa, Massa). Il progetto prevede un premio fino a 70.000 € al 15% delle scuole più “brave”. Tra i 3 indicatori che stileranno la classifica delle scuole, vi sono i test INVALSI. Il Ministero intende applicare questa metodologia sperimentale a tutte le scuole italiane, a partire dall’a.s.2011-2012. Vi è un nesso sostanziale tra prove INVALSI e premialità del merito.

LA LOGICA DEL PREMIO: Negli ultimi 3 anni il Ministero dell’Istruzione ha tagliato più di 8 miliardi di euro alla scuola pubblica; il Ministero del Tesoro ha bloccato per vari anni i contratti del personale, gli stipendi e gli scatti di anzianità. Le conseguenze di queste decisioni le stiamo sperimentando tutti i giorni. Ora, con il 30% di questi risparmi, vogliono premiare “fino ad un massimo del 15-20%, i più meritevoli”. Non credo che questa sia una logica cooperativa ed umana.

E’ una spinta competitiva che produrrà solo danni e impoverimento della scuola pubblica. Tagliare a tutti per premiare pochi credo sia l’esatto contrario di quanto preveda la nostra Costituzione come prospettiva di scuola pubblica. Confidare che soltanto la logica della competizione scuota e salvi la scuola pubblica, è come tirare un calcio ad un computer e sperare che si aggiusti! Ce lo si puo’ aspettare da un ragazzino, non da un Governo.

CHI VINCE E CHI PERDE: Negli ultimi tre anni, vi è stata una continua pressione affinché entrasse nella scuola pubblica la logica “meritocratica”. Introduzione del voto numerico in tutti gli ordini di scuola, riforma Brunetta, progetti di premialità ai docenti e alle scuole, ecc. A tutto ci si abitua, ed ora non ci indigna più il fatto che un bambino di 6 anni riceva “2”, “4”, ed un altro tutti “10”. E’ ciò che si “meritano”! Nella vita c’è chi vince e c’è chi perde…..E’ ora di finirla con questo egualitarismo sessantottino, ci ricordava un Ministro che forse si intende di economia, ma che quando ha preteso di estendere le sue decisioni in campo educativo, ha prodotto ciò che abbiamo sotto gli occhi! La scuola pubblica deve essere una clinica per i sani, in cui certificare i dislivelli socio-culturali di partenza, oppure un’opportunità di crescita per tutti, nel rispetto delle differenze e dei cammini personali?

STENDERE CLASSIFICHE AIUTA AD APPRENDERE E A MIGLIORARSI?: Fino a quando un bambino, un adolescente, un ragazzo percepisce che ha una possibilità, una speranza di farcela, resta in gara e può migliorarsi. Quando capisce che la gare non è equa, che non ce la farà mai a vincere, alle condizioni date, rinuncia e cerca altre strade (e sappiamo quanto possono essere distruttive!). Davvero, come genitori, come docenti, come cittadini, crediamo che basterà costruire delle classifiche, perchè tutto migliori, come per magia? Chi lo ha fatto da sempre, come il sistema scolastico Statunitense ed Inglese, si rende conto di quali sacche di emarginazione e di diseguaglianza produce, a fronte di pochi “arrivati”.

QUALI SONO LE FINALITA’ DELLE PROVE INVALSI?: Servono per misurare le competenze linguistiche e matematiche degli alunni? Per misurare il grado di preparazione fornito dalla scuola? Per comparare le scuole tra di loro? Per comparare zone geografiche d’Italia e realtà socioeconomiche diverse? Per valutare i docenti? Per stendere delle classifiche di premialità? Per fare della statistica con poco investimento e molti utenti?

COME SONO UTILIZZATE LE PROVE INVALSI DAL SISTEMA SCOLASTICO? Per ora ci si affanna soltanto a definirle “obbligatorie” con una semplice nota di un dirigente Ministeriale. I Dirigenti non permettono ai Collegi Docenti di esprimere la propria opinione in merito all’adesione alle prove e “obbligano” i docenti a somministrarle e correggerle, per poi inviarne i risultati al Ministero. Per cosa sono utilizzati questi risultati? Per decidere su quali realtà investire? Quali realtà punire? Per fare dichiarazioni politiche semplicistiche, sulla base di conclusioni già evidenti in partenza? (“I dati di ciascuna rilevazione segnalano come una costante del nostro Paese che le regioni del Nord ottengono risultati in genere più elevati di quelli del Centro e del Sud. Queste differenze sono più o meno significative a seconda delle classi considerate”. “I risultati degli studenti immigrati, specialmente quelli di prima generazione, sono sempre più bassi di quelli degli italiani, ma sono anche molto uniformi sul territorio nazionale. Le piccole differenze osservate non sono in genere statisticamente significative”). Intanto i docenti più scrupolosi, per paura dell’effetto delle valutazioni INVALSI sulla propria classe e sulla propria autostima, fanno comprare alle famiglie libretti di allenamento alle prove INVALSI e convertono la propria didattica ad una preparazione ai test. E’ questo l’effetto feedback sperato?

IL QUESTIONARIO AGLI ALUNNI: All’interno delle Prove INVALSI di quinta dell’a.s.2010 vi era un questionario agli alunni con domande del tipo: quanti libri hai in casa? (corredato da una pagina di disegnini, per orientarsi meglio nella propria libreria) abitualmente con chi vivi? Sono stato picchiato da altri bambini a scuola?, ecc.. Con quali finalità si chiedono dati e valutazioni personali molto delicati ad alunni di dieci anni, senza un consenso ed una conoscenza esplicita da parte delle famiglie? Per poter correlare meglio i risultati con lo status socio-economico o per quali altri motivi di ricerca?

L’OBBEDIENZA NON E’ Più UNA VIRTU’: Interpellati sul senso delle Prove Invalsi, tanti Dirigenti e docenti stanno rispondendo che “siamo obbligati a farle”. A parte l’opinabilità giuridica di queste risposte, credo occorra andare al senso profondo: se è vero che è necessario essere valutati, siamo sicuri che questo sia lo strumento giusto per valutare una realtà complessa come quella della scuola pubblica? Con un test a risposta chiusa di Italiano e Matematica siamo a posto? Avremo uno spaccato affidabile delle scuole e dei docenti? Dei finanziamenti alle scuole e delle risorse mai arrivate? Delle risorse tagliate e mal distribuite? Del diritto allo studio negato, di fatto, per problemi organizzativi e strutturali? Don Milani ci ricorda che l’obbedienza ha senso solo quando è difesa del più debole, non quando è accettazione acritica di semplificazioni e propaganda, che cancellano le vere problematiche sottostanti e non affrontate.

Spero che queste mie semplici osservazioni permettano di approfondire una riflessione critica all’interno delle nostre scuole… Cordiali saluti

Giordano Mancastroppa

martedì 22 marzo 2011

INVALSI: PERCHE’ NO

Sono ormai diversi anni che le scuole italiane vengono sottoposte ai test INVALSI, un sistema di valutazione sostenuto da governi di ogni colore e raccomandato da numerose direttive europee.

I risultati statistici delle prove OCSE-PISA, presentati con grande risalto giornalistico, vengono portati a conferma della necessità di introdurre un sistema di valutazione oggettivo della qualità degli apprendimenti (che è poi come dire della qualità degli insegnamenti, cioè dei docenti). I giornali non danno invece nessun risalto a quegli studi che mettono in discussione la scientificità delle prove OCSE-PiSA e dunque la loro validità statistica (vedi bibliografia).

Intanto di anno in anno le prove si sono fatte sempre più invasive: dall’obbligatorietà del quiz in terza media introdotta dal Ministro Fioroni all’allargamento della rilevazione a tutte le classi di tutte le scuole italiane, fino alla somministrazione di un “questionario per lo studente” al limite della schedatura di massa. Tale pervasività ogni docente può misurarla nei libri di testo che offrono in misura sempre maggiore strumenti di allenamento ai quiz.

Il tutto nella completa disinformazione dei genitori e nello scetticismo dei docenti che non è mai riuscito però a diventare una chiara e aperta contestazione agli INVALSI e a ciò che essi rappresentano.

Perché gli INVALSI sono pericolosissimi: essi rappresentano uno strumento strutturale e decisivo nella direzione della privatizzazione della scuola italiana e stravolgono quella che storicamente è stata la funzione della nostra scuola pubblica.

1) L’approccio didattico, di stampo anglosassone, è diametralmente opposto a quello della scuola italiana, con particolare riferimento al segmento della scuola primaria: all’insegnamento il più possibile individualizzato, che tiene conto dell’universo sociale-culturale-affettivo dell’allievo, si sostituisce una prova oggettiva asettica, che annulla, di colpo, la soggettività non solo dell’alunno, ma anche dell’insegnante; la relazione intersoggettiva, basilare in ogni sano rapporto pedagogico, è sostituita da una performance e una valutazione oggettive.

2) La scuola pubblica italiana si distingue a livello internazionale per l’integrazione degli alunni diversamente abili e per aver abolito le scuole speciali e le classi differenziali (L.517/’77). Vengono così riconosciuti sia il diritto allo studio per tutti, sia la diversità come valore. La decisione di far partecipare gli alunni disabili alle prove è rimessa alla scuola. Nel caso che questa decida per la partecipazione, i risultati dovranno essere elaborati in maniera a sè stante così da non incidere sul risultato medio della scuola o della classe. Ciò significa che la disabilità non rientra nel sistema di valutazione INVALSI e che, quindi, gli alunni disabili divengono inesistenti, così come viene ignorato l’impegno delle scuole affinché essi raggiungano le piene competenze secondo le loro potenzialità. Inoltre, è previsto che gli alunni con diagnosi di DSA (dislessia) partecipino alle prove nelle stesse condizioni degli altri!

3) Solo il fascismo dal 1929 era riuscito ad imporre l’assurdo di identici percorsi didattici in tutta la nazione. L’apprendimento non si può valutare allo stesso modo nei diversi contesti, proprio per questo gli insegnanti si confrontano e producono molteplici offerte didattiche, cambiano idea, ascoltano gli allievi e le allieve, ci parlano. Questa è la vera didattica, flessibile, individualizzata, che tiene conto dei diversi contesti: la standardizzazione è nemica dell’insegnamento di qualità.

4) Le prove INVALSI hanno un potente effetto retroattivo: alle prove “ci si prepara” e ore di buona didattica, vengono sostituite da allenamenti ai quiz; questo accade perché i docenti ben sanno che saranno loro ad essere valutati e dunque, per non “fare brutta figura” modellano la loro programmazione in modo da addestrare il più possibile la loro classe alla modalità a quiz. Così ad esempio crescono le prove a crocette, stanno tornando in auge le nomenclature grammaticali imparate a memoria come fino agli anni Sessanta. Ciò non ha alcun senso, se non quello di scimmiottare prove di bassa qualità preparate da persone lontane dalla scuola reale e dalla sua evoluzione

5) Le prove non misurano la buona didattica né il buon insegnante: un buon insegnante è colui che, rispettando i tempi e le attitudini dei suoi allievi, riesce ad appassionarli alla sua materia, riesce a coinvolgerli e a motivarli nello studio; tutto questo non si misura;

6) Trasformano dall’interno lo statuto delle discipline: nel giro di qualche anno le materie interessate dall’INVALSI hanno cambiato natura; pensiamo ad esempio alla prova di italiano: il tema ha perso centralità a favore della comprensione del testo; ad una prova in grado di restituire, più di ogni altra, la complessità dello studente (competenze, saperi, soggettività), si preferisce ormai una prova completamente decontestualizzata: un brano che solo per pudore viene scelto tra i brani d’autore, senza che di quell’autore importi né la poetica né il momento storico in cui ha vissuto; anche la matematica, disciplina anch’essa complessa, si sta rapidamente riducendo ad un molto più applicativo problem solving, minando appunto lo statuto stesso della disciplina.

7) Scientificamente sono un fallimento. Un esempio: quelli fatti svolgere alle secondarie di primo grado lo scorso anno hanno dato risultati che differivano da quelli conosciuti in base alle ricerche Pisa. Come rimediare? Gli astuti tecnici dell’Invalsi hanno deciso di elaborare un coefficiente per cui moltiplicare i risultati inverosimili, in modo da trasformarli in verosimili! Incredibile ma vero!

8) Sono dannosi emotivamente per i bambini e le bambine. L’insegnamento della lettura si basa sul rispetto dei tempi dei bambini. Ognuno ha i suoi ritmi ed è doveroso rispettarli. Invece per la classe Seconda della scuola primaria (7 anni) l’invalsi propone la prova cronometrata di lettura, cronometro alla mano. Nell’insegnamento della scrittura i bambini usano la matita, affinché l’errore non sia irrimediabile e non diventi un dramma emotivo; invece l’Invalsi obbliga all’uso della penna biro non cancellabile. Ma in qualunque segmento di scuola, lo stress emotivo è fortissimo: le prove sono pensate per risposte in velocità, si tratta di prove a tempo (1/2 ora o un’ora) a malapena sufficiente a rispondere a tutti i quiz. Esattamente il contrario di ciò che un buon insegnante non smette mai di raccomandare: “Non bisogna avere fretta nelle risposte, bisogna riflettere bene e a lungo, ecc.”. Nelle scuole inglesi lo “stress da QUIZ” è ormai riconosciuto anche dagli psicopedagiogisti.

9) Sono la premessa alla valutazione e gerarchizzazione retributiva dei docenti. Dai diversi documenti dell’Invalsi emerge chiaramente che questa schedatura di bambini, docenti e scuole è finalizzata in prospettiva a differenziare le retribuzioni dei docenti. Sia chiaro: nel progetto di sperimentazione presentato dalla Gelmini gli INVALSI, al momento, servono a misurare le scuole nel loro complesso, mentre per premiare il singolo docente è previsto un nucleo interno di valutazione che valuterà dati non meglio precisati. Ciò che accade negli altri Stati ci porta a pensare che anche in Italia l’obiettivo sia quello di piegare la libertà d’insegnamento alla logica delle competenze e dei quiz e di farlo utilizzando gli aumenti stipendiali. Ovviamente, come ben sa chi vive la scuola, non verrà premiato l’insegnante migliore, bensì quello che si adatterà più agilmente a questa didattica burocratica e di regime. Dobbiamo tener presente che il progetto di legge Aprea, collegato al merito nel pubblico impiego di Brunetta, prevede la diversificazione delle carriere (cioè degli stipendi dei docenti); uno dei parametri sarà “l’efficacia dell’azione didattica e formativa”; Quando il nostro stipendio dipenderà dai risultati delle prove INVALSI, allora la scuola italiana si trasformerà in una palestra di addestramento ai quiz.

10) Esasperano la competizione: spingono gli alunni a rivaleggiare tra di loro, gli insegnanti a mettersi in competizione anziché scambiarsi le buone pratiche, le scuole saranno sempre più in concorrenza tra loro, nel gioco al massacro dell’accaparramento di “clienti” attirati con progettualità tanto altisonanti quanto inconsistenti.

11) Non servono a migliorare la qualità della scuola: se qualcuno pensasse che, una volta arrivati i risultati delle scuole, il ministero se ne servisse per aumentare i finanziamenti per le scuole risultate più deboli, sarebbe del tutto fuori strada. Nella meritocrazia succede esattamente il contrario: avranno più soldi le scuole che otterranno risultati maggiori; e che faranno, ci chiediamo, quei bambini che, casualità vuole, sono finiti in una scuola di serie B o C? Se la terranno, alla faccia del diritto per tutti a una scuola di qualità. Certo è che il loro titolo di studio varrà di meno, come in ogni privatizzazione che si rispetti. Tutto questo, malgrado nel documento di Sintesi dell’INVALSI sulla valutazione degli apprendimenti dell’anno scolastico 2009/2010 l’ampia disuguaglianza dei risultati scolastici nelle regioni meridionali venga associata più all’alta disuguaglianza del reddito che alle caratteristiche strutturali dei singoli sistemi scolastici. Si può facilmente dedurre che ci sia la volontà di lasciare indietro chi è già è in situazione di disagio economico e socio-culturale, di non intervenire per diminuire la dispersione scolastica, ma di

invertire il diritto costituzionalmente garantito di offrire a tutti le stesse opportunità formative a favore della premialità.

12) Le prove non sono anonime: le prove non sono affatto anonime e permetteranno una tracciabilità delle performance dai 7 anni in su: di fatto una schedatura delle competenze di massa e prolungata nel tempo. Sono anni che si affannano a dire che i quiz sono anonimi e che hanno una finalità puramente statistica; e allora a che serve un codice che collega ogni prova a un bambino ben preciso? Si tratta di una tracciabilità che non ha nessuna utilità a fini statistici: se voglio fare un’indagine davvero anonima, semplicemente entro nelle classi, distribuisco i quiz e poi li analizzo; non mi interessa che quel quiz lo abbia fatto un bambino o un altro; da un punto di vista statistico mi interessano l’età, la collocazione geografica della scuola, il numero di bambini per classe, ecc, MA NON IL NOME DEL BAMBINO: è un elemento non statistico. Ma, dicono, questi sono dati sensibili che restano custoditi dalle scuole; perché? Che se ne fanno le scuole? Se non se ne fanno niente, allora tanto vale non abbinare la prova al singolo. E’ ovvio invece che vorranno in qualche modo utilizzare questa tracciabilità, magari per misurare, come dicono loro, il valore aggiunto delle scuole e dei singoli docenti. La tracciabilità inoltre permetterà, appena lo decideranno, di costruire finalmente quel portfolio delle competenze lungo l’arco della vita iniziando dai sette anni.

http://www.cobas-scuola.it

INVALSI: PERCHE’ NO

Sono ormai diversi anni che le scuole italiane vengono sottoposte ai test INVALSI, un sistema di valutazione sostenuto da governi di ogni colore e raccomandato da numerose direttive europee.

I risultati statistici delle prove OCSE-PISA, presentati con grande risalto giornalistico, vengono portati a conferma della necessità di introdurre un sistema di valutazione oggettivo della qualità degli apprendimenti (che è poi come dire della qualità degli insegnamenti, cioè dei docenti). I giornali non danno invece nessun risalto a quegli studi che mettono in discussione la scientificità delle prove OCSE-PiSA e dunque la loro validità statistica (vedi bibliografia).

Intanto di anno in anno le prove si sono fatte sempre più invasive: dall’obbligatorietà del quiz in terza media introdotta dal Ministro Fioroni all’allargamento della rilevazione a tutte le classi di tutte le scuole italiane, fino alla somministrazione di un “questionario per lo studente” al limite della schedatura di massa. Tale pervasività ogni docente può misurarla nei libri di testo che offrono in misura sempre maggiore strumenti di allenamento ai quiz.

Il tutto nella completa disinformazione dei genitori e nello scetticismo dei docenti che non è mai riuscito però a diventare una chiara e aperta contestazione agli INVALSI e a ciò che essi rappresentano.

Perché gli INVALSI sono pericolosissimi: essi rappresentano uno strumento strutturale e decisivo nella direzione della privatizzazione della scuola italiana e stravolgono quella che storicamente è stata la funzione della nostra scuola pubblica.

1) L’approccio didattico, di stampo anglosassone, è diametralmente opposto a quello della scuola italiana, con particolare riferimento al segmento della scuola primaria: all’insegnamento il più possibile individualizzato, che tiene conto dell’universo sociale-culturale-affettivo dell’allievo, si sostituisce una prova oggettiva asettica, che annulla, di colpo, la soggettività non solo dell’alunno, ma anche dell’insegnante; la relazione intersoggettiva, basilare in ogni sano rapporto pedagogico, è sostituita da una performance e una valutazione oggettive.

2) La scuola pubblica italiana si distingue a livello internazionale per l’integrazione degli alunni diversamente abili e per aver abolito le scuole speciali e le classi differenziali (L.517/’77). Vengono così riconosciuti sia il diritto allo studio per tutti, sia la diversità come valore. La decisione di far partecipare gli alunni disabili alle prove è rimessa alla scuola. Nel caso che questa decida per la partecipazione, i risultati dovranno essere elaborati in maniera a sè stante così da non incidere sul risultato medio della scuola o della classe. Ciò significa che la disabilità non rientra nel sistema di valutazione INVALSI e che, quindi, gli alunni disabili divengono inesistenti, così come viene ignorato l’impegno delle scuole affinché essi raggiungano le piene competenze secondo le loro potenzialità. Inoltre, è previsto che gli alunni con diagnosi di DSA (dislessia) partecipino alle prove nelle stesse condizioni degli altri!

3) Solo il fascismo dal 1929 era riuscito ad imporre l’assurdo di identici percorsi didattici in tutta la nazione. L’apprendimento non si può valutare allo stesso modo nei diversi contesti, proprio per questo gli insegnanti si confrontano e producono molteplici offerte didattiche, cambiano idea, ascoltano gli allievi e le allieve, ci parlano. Questa è la vera didattica, flessibile, individualizzata, che tiene conto dei diversi contesti: la standardizzazione è nemica dell’insegnamento di qualità.

4) Le prove INVALSI hanno un potente effetto retroattivo: alle prove “ci si prepara” e ore di buona didattica, vengono sostituite da allenamenti ai quiz; questo accade perché i docenti ben sanno che saranno loro ad essere valutati e dunque, per non “fare brutta figura” modellano la loro programmazione in modo da addestrare il più possibile la loro classe alla modalità a quiz. Così ad esempio crescono le prove a crocette, stanno tornando in auge le nomenclature grammaticali imparate a memoria come fino agli anni Sessanta. Ciò non ha alcun senso, se non quello di scimmiottare prove di bassa qualità preparate da persone lontane dalla scuola reale e dalla sua evoluzione

5) Le prove non misurano la buona didattica né il buon insegnante: un buon insegnante è colui che, rispettando i tempi e le attitudini dei suoi allievi, riesce ad appassionarli alla sua materia, riesce a coinvolgerli e a motivarli nello studio; tutto questo non si misura;

6) Trasformano dall’interno lo statuto delle discipline: nel giro di qualche anno le materie interessate dall’INVALSI hanno cambiato natura; pensiamo ad esempio alla prova di italiano: il tema ha perso centralità a favore della comprensione del testo; ad una prova in grado di restituire, più di ogni altra, la complessità dello studente (competenze, saperi, soggettività), si preferisce ormai una prova completamente decontestualizzata: un brano che solo per pudore viene scelto tra i brani d’autore, senza che di quell’autore importi né la poetica né il momento storico in cui ha vissuto; anche la matematica, disciplina anch’essa complessa, si sta rapidamente riducendo ad un molto più applicativo problem solving, minando appunto lo statuto stesso della disciplina.

7) Scientificamente sono un fallimento. Un esempio: quelli fatti svolgere alle secondarie di primo grado lo scorso anno hanno dato risultati che differivano da quelli conosciuti in base alle ricerche Pisa. Come rimediare? Gli astuti tecnici dell’Invalsi hanno deciso di elaborare un coefficiente per cui moltiplicare i risultati inverosimili, in modo da trasformarli in verosimili! Incredibile ma vero!

8) Sono dannosi emotivamente per i bambini e le bambine. L’insegnamento della lettura si basa sul rispetto dei tempi dei bambini. Ognuno ha i suoi ritmi ed è doveroso rispettarli. Invece per la classe Seconda della scuola primaria (7 anni) l’invalsi propone la prova cronometrata di lettura, cronometro alla mano. Nell’insegnamento della scrittura i bambini usano la matita, affinché l’errore non sia irrimediabile e non diventi un dramma emotivo; invece l’Invalsi obbliga all’uso della penna biro non cancellabile. Ma in qualunque segmento di scuola, lo stress emotivo è fortissimo: le prove sono pensate per risposte in velocità, si tratta di prove a tempo (1/2 ora o un’ora) a malapena sufficiente a rispondere a tutti i quiz. Esattamente il contrario di ciò che un buon insegnante non smette mai di raccomandare: “Non bisogna avere fretta nelle risposte, bisogna riflettere bene e a lungo, ecc.”. Nelle scuole inglesi lo “stress da QUIZ” è ormai riconosciuto anche dagli psicopedagiogisti.

9) Sono la premessa alla valutazione e gerarchizzazione retributiva dei docenti. Dai diversi documenti dell’Invalsi emerge chiaramente che questa schedatura di bambini, docenti e scuole è finalizzata in prospettiva a differenziare le retribuzioni dei docenti. Sia chiaro: nel progetto di sperimentazione presentato dalla Gelmini gli INVALSI, al momento, servono a misurare le scuole nel loro complesso, mentre per premiare il singolo docente è previsto un nucleo interno di valutazione che valuterà dati non meglio precisati. Ciò che accade negli altri Stati ci porta a pensare che anche in Italia l’obiettivo sia quello di piegare la libertà d’insegnamento alla logica delle competenze e dei quiz e di farlo utilizzando gli aumenti stipendiali. Ovviamente, come ben sa chi vive la scuola, non verrà premiato l’insegnante migliore, bensì quello che si adatterà più agilmente a questa didattica burocratica e di regime. Dobbiamo tener presente che il progetto di legge Aprea, collegato al merito nel pubblico impiego di Brunetta, prevede la diversificazione delle carriere (cioè degli stipendi dei docenti); uno dei parametri sarà “l’efficacia dell’azione didattica e formativa”; Quando il nostro stipendio dipenderà dai risultati delle prove INVALSI, allora la scuola italiana si trasformerà in una palestra di addestramento ai quiz.

10) Esasperano la competizione: spingono gli alunni a rivaleggiare tra di loro, gli insegnanti a mettersi in competizione anziché scambiarsi le buone pratiche, le scuole saranno sempre più in concorrenza tra loro, nel gioco al massacro dell’accaparramento di “clienti” attirati con progettualità tanto altisonanti quanto inconsistenti.

11) Non servono a migliorare la qualità della scuola: se qualcuno pensasse che, una volta arrivati i risultati delle scuole, il ministero se ne servisse per aumentare i finanziamenti per le scuole risultate più deboli, sarebbe del tutto fuori strada. Nella meritocrazia succede esattamente il contrario: avranno più soldi le scuole che otterranno risultati maggiori; e che faranno, ci chiediamo, quei bambini che, casualità vuole, sono finiti in una scuola di serie B o C? Se la terranno, alla faccia del diritto per tutti a una scuola di qualità. Certo è che il loro titolo di studio varrà di meno, come in ogni privatizzazione che si rispetti. Tutto questo, malgrado nel documento di Sintesi dell’INVALSI sulla valutazione degli apprendimenti dell’anno scolastico 2009/2010 l’ampia disuguaglianza dei risultati scolastici nelle regioni meridionali venga associata più all’alta disuguaglianza del reddito che alle caratteristiche strutturali dei singoli sistemi scolastici. Si può facilmente dedurre che ci sia la volontà di lasciare indietro chi è già è in situazione di disagio economico e socio-culturale, di non intervenire per diminuire la dispersione scolastica, ma di

invertire il diritto costituzionalmente garantito di offrire a tutti le stesse opportunità formative a favore della premialità.

12) Le prove non sono anonime: le prove non sono affatto anonime e permetteranno una tracciabilità delle performance dai 7 anni in su: di fatto una schedatura delle competenze di massa e prolungata nel tempo. Sono anni che si affannano a dire che i quiz sono anonimi e che hanno una finalità puramente statistica; e allora a che serve un codice che collega ogni prova a un bambino ben preciso? Si tratta di una tracciabilità che non ha nessuna utilità a fini statistici: se voglio fare un’indagine davvero anonima, semplicemente entro nelle classi, distribuisco i quiz e poi li analizzo; non mi interessa che quel quiz lo abbia fatto un bambino o un altro; da un punto di vista statistico mi interessano l’età, la collocazione geografica della scuola, il numero di bambini per classe, ecc, MA NON IL NOME DEL BAMBINO: è un elemento non statistico. Ma, dicono, questi sono dati sensibili che restano custoditi dalle scuole; perché? Che se ne fanno le scuole? Se non se ne fanno niente, allora tanto vale non abbinare la prova al singolo. E’ ovvio invece che vorranno in qualche modo utilizzare questa tracciabilità, magari per misurare, come dicono loro, il valore aggiunto delle scuole e dei singoli docenti. La tracciabilità inoltre permetterà, appena lo decideranno, di costruire finalmente quel portfolio delle competenze lungo l’arco della vita iniziando dai sette anni.

fonte: www.cobas scuola.it

venerdì 18 marzo 2011

Pubblicata la circolare sugli organici: altri 19.700 posti in meno!

Nella circolare si precisa in particolare che
Le dotazioni organiche regionali sono state ripartite come da tabelle allegate al richiamato schema di decreto interministeriale, di cui costituiscono parte integrante, e che prevedono una riduzione di 19.700 posti, da operare in organico di diritto. Si ricorda, fin d’ora che, a con-clusione delle operazioni di elaborazione dell’organico di diritto e dell’organico di fatto, debbono essere comunque raggiunti gli obiettivi finanziari di contenimento della spesa di cui al Piano programmatico previsto dalla legge n. 133/2008.

Ferme restando le istruzioni e le indicazioni di cui alla presente circolare, le SS. LL. porranno in essere autonomamente le azioni ritenute più funzionali e coerenti con gli specifici bisogni delle rispettive realtà territoriali, nonché, tenendo in debita considerazione le autonome scelte delle scuole, valuteranno la possibilità di attivare ulteriori iniziative volte al raggiungimento delle finalità di razionalizzazione e di contenimento della spesa, nel rispetto della qualità del servizio e dell’offerta formativa.

Un ruolo importante, ai fini della corretta e puntuale attuazione delle istruzioni e indicazioni di cui alla presente circolare, spetta alle istituzioni scolastiche e alla piena valorizzazione, da parte delle stesse, della quota di autonomia prevista dal D.P.R. n. 275/99 e successive modifiche e integrazioni (vedi i regolamenti concernenti il II ciclo). Sarà cura, pertanto, dell’istituzione scolastica, una volta avuta contezza delle proprie risorse di organico, articolare il tempo scuola secondo criteri e modalità che consentano il migliore impiego delle risorse, l’ampliamento del servizio e l’incremento dell’offerta formativa; il tutto valorizzando, le potenzialità proprie dall’autonomia organizzativa e didattica. [TEMPO PIENO "FAI DA TE"?]

Lo schema di decreto interministeriale riporta nella colonna “A” della tabella F le entità delle riduzioni da effettuare in organico di diritto a livello nazionale e regionale e nella colonna “B” i posti derivanti dagli ulteriori interventi di dimensionamento della rete scolastica.

Come negli anni decorsi, sono consentite compensazioni tra i contingenti di organico relativi ai diversi gradi di scolarità, anche nell’ottica, ove possibile, dell’estensione del tempo pieno.

Si richiama la particolare attenzione delle SS.LL. e degli operatori impegnati nelle operazioni di definizione e gestione degli organici, sull’esigenza che siano valutate in maniera pun-tuale le risorse da destinare ad ogni segmento di istruzione e a ciascuna istituzione scolastica, onde evitare situazioni di squilibrio e/o di svantaggio.

Per quanto concerne le ore di insegnamento delle materie alternative alla religione catto-lica, si fa presente che è in corso di emanazione una apposita intesa tra il MIUR e il MEF, che chiarisce i vari profili della materia e detta disposizioni e istruzioni per la parte relativa agli a-spetti contrattuali e retributivi.



leggi la circolare Circolare Ministeriale 21 Del 14 Marzo 2011 Trasmissione Dotazioni Organiche 2011 201
e le tabelle

mercoledì 16 marzo 2011

martedì 15 marzo 2011

22 marzo 2011 - Assemblea pubblica

Coordinamento Genitori insegnanti Crispi

Star bene a scuola:

genitori e insegnanti come comunità educante

Martedì 22 Marzo 2011 ore 16,45

Scuola F. Crispi via A. G. Barrili, 13

Genitori e insegnanti si incontrano per discutere di:

· Continuità con la scuola dell'infanzia

· Programmi e tempi dell'apprendimento

· Compiti a casa e a scuola: l’aiuto dei genitori

· Il senso della valutazione: tra gratuità e prestazione; i voti

· Proposte per incontri successivi

Introduce la Dirigente del I Circolo Didattico Renata Puleo

Segue dibattito a tutto campo

lunedì 14 marzo 2011

La foto del flash mob di Venerdì 11

Guarda le foto
Come genitori e insegnanti delle scuole del XVI Municipio proponiamo di fare un'azione non violenta di disturbo che renda visibile la nostra indignazione rispetto alle ultime esternazioni del Presidente del Consiglio che denigrano la scuola pubblica e noi insegnanti.
Con la forma del flash mob (una concentrazione improvvisa e non strutturata di persone) cominceremo ad attraversare pacificamente ma ininterrottamente la strada per una mezz'ora, indossando cartelli o magliette con scritte tipo: "la scuola pubblica nuoce gravemente alla salute perché insegna a pensare" o "Il presidente del Consiglio mi deve delle scuse"; NOI ESISTIAMO, malgrado lei Signor Primo Ministro. NOI RESISTIAMO malgrado voi Signora Gelmini e Signor Tremonti; io il diploma lo guadagno con il merito e l'impegno di ogni giorno, non lo compro al diplomificio; tra i nostri valori non c'è il mercimonio e nemmeno il bunga bunga: le famiglie lo sanno; sono studente/insegnante della scuola pubblica e non mi vergogno; cartelli stradali di pericolo "pericolo, c'è un cervello in funzione" ecc.

I giornalisti saranno avvertiti in precedenza e potranno documentare l'azione. Speriamo nella presenza degli studenti, anche loro sono stati offesi come studenti della scuola pubblica che non difende i VALORI.
L'appuntamento è per Venerdì 11 alle ore 17,30; ognuno porterà il cartello con la scritta che meglio la/lo rappresenta. Il luogo Piazzale Dunant appuntamento all'angolo di via Mantegazza, dove sono le strisce pedonali. Se riusciremo a produrre un volantino nei prossimi giorni qualcuno potrà volantinare (si pensava di citare il famoso intrevento di Calamandrei sulla scuola pubblica). Ma con la gente (magari arrabbiata) si può anche parlare. Il volantino allegato è quello sulla difesa del tempo pieno che stiamo diffondendo in questi giorni alla scuola Crispi e che potremmo diffondere anche in questa occasione.
PARTECIPATE!!

martedì 8 marzo 2011

Piero Calamandrei sulla scuola pubblica

Un classico sempre attuale...

di Piero Calamandrei

Roma 11 febbraio 1950
[Pubblicato in "Scuola democratica", periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]

Cari colleghi,
Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università [...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà [...].

La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].

La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società [...].

A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.

Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa, l'art. 34, in cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Questo è l'articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com'è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].

Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni [...].

Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.

La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).

Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apetamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.

Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il metodo più pericoloso, la fase più pericolosa di tutta l'operazione [...]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito [...].

Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla [...]. È venuta così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno familiare scolastico.

Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare" al massimo le spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno [...].

Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica.
Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l'arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito [...].

Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].

Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c'è il cacciatore con il fucile spianato. È la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.

E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l'onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.

E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.