venerdì 16 aprile 2010

Rette scolastiche, comunicato stampa del CGD

Sono sempre più numerosi gli Enti Locali che hanno scelto di perseguire l’evasione delle rette scolastiche. Punendo i bambini. Senza distinguere tra evasori furbi e veri indigenti.

Su quali valori si basa una società che produce dolore ed umiliazione ai bambini? Possiamo accettare che nostro figlio sia testimone dell’esclusione di un altro bambino dalla mensa o dallo scuolabus, senza trovare risposte nel silenzio impotente degli adulti? Quale modello di collettività può proporre un’amministrazione che non considera i servizi per i bambini come diritti da tutelare con investimenti di spesa prioritari?

Anche valutando pragmaticamente le conseguenze di iniziative di questo stampo, che diverse amministrazioni locali stanno adottando, ci chiediamo se val proprio la pena mettere alla gogna dei bambini lasciandoli a pane e acqua o sbattendogli in faccia le porte dello scuolabus.

Ci costa di meno il servizio se lo scuolabus è un po' più leggero? Spendiamo di più se anziché buttare i pasti non consumati dai nostri figli nelle mense li lasciamo dividere con i figli di chi per vari motivi non ha pagato? Semplici gesti di buon senso per contenere le spese evitando nel contempo di creare tra i piccoli discriminazioni che nulla hanno a che vedere con quell'etica Cristiana di cui si fa ipocritamente scudo proprio chi approva queste leggi. Le nuove povertà richiedono indicatori più flessibili e rilevazioni più frequenti. Questa è la nuova responsabilità degli Enti Locali in tempi di crisi economica.

Crediamo che la scuola non possa educare alla legalità ed al rispetto delle regole quando si contravviene ai più elementari principi di solidarietà.

Il Coordinamento Genitori Democratici è come sempre dalla parte dei bambini, di tutti i bambini che vivono nel nostro paese, e sostiene tutti i genitori che vorranno impugnare le delibere in questione per eventuali ricorsi.



Roma, 16/04/2010

Il Presidente Nazionale
Angela Nava Mambretti

venerdì 9 aprile 2010

La regionalizzazione delle scuole di Antonia Sani

"Il ddl che porta il nome dell’on. Paola Goisis (LEGA Nord), depositato il 30 marzo, stravolge ufficialmente il concetto di "territorio"come luogo della partecipazione collettiva al rafforzamento della democrazia nell'intero paese.
Nella scuola, la partecipazione prevista dalla Costituzione ha tardato la sua nascita. Gli Organi Collegiali vedono la loro prima attuazione nel 1975. Da allora, dopo un primo decennio di affermazioni positive, la loro governance è stata sempre più contrastata, sia dalla vischiosità della burocrazia ministeriale che dalla tendenza dei potentati locali- in particolare nelle regioni del nord che vedranno crescere la Lega- a far coincidere le iniziative sostenute o patrocinate con l’ esaltante ricerca di una presunta identità territoriale. Il territorio come ”proprietà esclusiva di chi lo abita” rappresenta una forte inversione di tendenza rispetto a quanto è stato fatto negli ultimi secoli per costruire l’unità d’Italia, e a una visione del territorio come laboratorio di democrazia. Deboli sono state in questi anni le reazioni da parte delle forze democratiche, protese spesso a imitare quei modelli nella speranza di facili consensi.
Prima ancora che un attacco inaccettabile alla scuola della Costituzione fondata sulla garanzia dell’uguaglianza degli accessi all’istruzione, questo ddl ci preoccupa poiché rappresenta l’epilogo di un processo in atto ormai da tempo, in cui si sono accarezzati pulsioni e istinti retrivi sempre pronti a riemergere nella popolazione. Non è un caso che dal loro rafforzamento la Lega sia riuscita a ottenere l’ottimo risultato.
Ognuno si rinchiuda nel proprio territorio, ergiamo mura e scaviamo fossati, allontaniamo gli infedeli dalle nostre scuole, le lobby locali provvedano all’istruzione che più le soddisfa, con docenti e dirigenti garantiti, di origine controllata. Questa la futura Italia del Nord col plauso del popolo bue.
Forse qualcuno di coloro che storcono il naso di fronte all’aggettivo “statale” capirà a questo punto il senso profondo che deve essere attribuito a questo aggettivo, quale garanzia di pari opportunità su tutto il territorio nazionale…
Si dice che il ddl Goisis si mette di traverso alla proposta Aprea ferma da un anno in commissione (mentre spezzoni di “riforma” stanno avanzando..), ma a me pare che, al contrario, questo ddl le apra le porte. Bastano pochi ritocchi per uniformarla allo spirito leghista.”
Il nostro convegno del 20 marzo è stato un piccolo campanello di allarme?

giovedì 8 aprile 2010

Libertà è partecipazione di Marina Boscaino

Vi racconto cosa hanno fatto, cosa stanno facendo, cosa faranno alcune persone da più di anno e mezzo per tentare di arginare il danno violento e irreversibile che la “politica del fare” ha prodotto e continuerà a produrre sulla scuola italiana. Nel silenzio e nell’indifferenza di tutti; con fatica; con la consapevolezza che questo non è un momento storico propizio per far attecchire interesse per quello che molti considerano un residuato, altri consigliano di rottamare: la scuola pubblica, appunto. E infatti non desta alcun tipo di reazione il numero dei tagli, né il fatto che le scuole siano state azzoppate di risorse e di offerta formativa; non interessa che questa dismissione produca come effetto più evidente la scippo di opportunità di emancipazione per i più deboli dal punto di vista socio-economico-culturale; né che si licenzino Indicazioni Nazionali (i programmi) per la scuola superiore frutto di un frettoloso copia-incolla, fatto tanto per marcare la zona e incassare il risultato, prive di qualsiasi respiro culturale; né che si stia celebrando il requiem per il concetto di unitarietà del sistema nazionale, considerando la devoluzione già in atto di grandi parti dell’istruzione alle Regioni, diverse, con potenzialità, finalità, visioni differenti; e nemmeno che si ventilino da più parti ipotesi di privatizzazioni più o meno esplicite, più o meno praticabili, che raccontano – tutte – la presa di distanza con il concetto bello, nobile, emancipante di scuola della Costituzione.

Il numero dei precari, dei precarizzati, viene declinato astrattamente, ormai elemento di una litania che non coinvolge più nessuno, che fa parte di ciò che si deve dire per parlare di un argomento noioso, scaduto, di una cosa che ormai va così, e nessuno ci può fare nulla. Non bastano i paragoni con l’Alitalia, non servono a nulla le formule, ormai vuote: il più grande licenziamento di massa della storia. L’incapacità di fare due più due, di pensare - se non alle donne e agli uomini che esistono dietro quella formula – alle conseguenze di tutto ciò è il sintomo di questo nostro tempo triste.

Roma, per mia esperienza diretta; ma anche altre realtà italiane. Si esiste solo se i media registrano la nostra esistenza. Ma i media sono altrove, interessati ad altro. Eppure la scuola superiore – una parte di essa – si è risvegliata dal suo letargo autoreferenziale e ha capito che c’è bisogno di mobilitazione, di partecipazione, di impegno. Di far sentire una voce poco incidente, ma di renderla più incisiva possibile, attraverso proposte concrete.

Innanzitutto la legalità, una parola che ricorre spesso nei discorsi di Gelmini&C, come pura enunciazione svuotata di significato, corredata esclusivamente di insegnamenti e discipline fantasma, in quella visione asfittica per cui, ad un certo momento, in certe ore, a scuola si dovrebbe insegnare la legalità. Poi, terminato il tempo, si parte con altro, che - non si capisce perché - dovrebbe essere anche altro dalla legalità. Nel luogo della legalità, dell’educazione, della cittadinanza (la scuola) sono loro i primi ad evadere ogni procedura legittima: hanno chiuso le iscrizioni alle superiori (come le avevano fatte partire, il 18 febbraio) su una scuola “riformata” priva di riferimenti legge. Perché i regolamenti non hanno ancora concluso il loro iter e si trovano ancora al vaglio della Corte dei Conti, senza essere stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Prima la Flcgil, poi i comitati Per la Scuola della Repubblica sono ricorsi al Tar per denunciare l’anomalia della situazione. Lo scorso anno la situazione è stata analoga per la scuola primaria. Ancora il Tar deve pronunciarsi. È evidente che un pronunciamento a favore di coloro che hanno ricorso inficerebbe – ad esempio – gli organici. Ma questo non può e non deve scoraggiare coloro che continuano ad esigere la certezza del diritto. Sarebbe quindi importante che, nei pochi giorni che rimangono, la scuola democratica producesse uno sforzo in più per aderire al ricorso. Fino a quando abbiamo intenzione di assuefarci alla violenta imposizione di procedure illegittime a fronte della legge? Fino a quando abbiamo intenzione di accettare l’idea che addirittura una “epocale riforma” non abbia – per diventare esecutiva – necessità di passare attraverso i legittimi percorsi che rendono tale una legge?

Insegnanti. Si sta tentando di superare il divario tradizionale che si definisce già dalla denominazione: da una parte gli insegnanti, dall’altra i precari. Quasi si trattasse di categorie diverse. È vero che la politica dell’attuale governo ha tentato – molto più che in passato – di contrapporli. Il gioco al massacro degli spezzoni di cattedra proposti da zelanti dirigenti e accettate da molti insegnanti di ruolo – in barba a qualsiasi principio di solidarietà e di interesse generale, nonché in una lettura miope e restrittiva delle conseguenze di ciò che i tagli potranno provocare nella scuola – non toglie alla scuola democratica la consapevolezza di quanto quella divisione sia dirimente dal punto di vista esistenziale, ma certamente non da quello professionale, né della condivisione dei principi che animano l’idea di scuola della Costituzione.

Gli ingentissimi tagli (8 miliardi di euro circa), il debito del Miur con gli istituti, che ammonta a 1 miliardo e mezzo di euro e che – come è stato dichiarato - non verrà mai rifuso, la pseudo-riforma che questi scaltri e spregiudicati dilettanti allo sbaraglio tentano di organizzare intorno allo scheletro portante di quei tagli (che ne sono l’unica motivazione), sempre in modo pedestre, come nel caso del copia-incolla di bassa levatura fatto con le Indicazioni Nazionali, i “programmi”: sono tutti elementi che tengono insieme insegnanti e famiglie, producendo riflessione rispetto all’opportunità di continuare a favorire o meno il pagamento del cosiddetto “contributo volontario”, una vera e propria tassa, vincolata teoricamente ad alcune specifiche attività, oggi fonte di sostentamento essenziale per molti istituti.

A Roma, come altrove, coordinamenti di insegnanti – tutti gli insegnanti – con genitori e (pochi) studenti stanno continuando ad attuare una mobilitazione impegnativa e in alcuni momenti frustrante, perché riuscire a coinvolgere non è così facile e perché i media – superato il folklore dei precari in mutande sul tetto – hanno spento le luci sulla scuola italiana. E solo i Flash mob che alcuni volenterosi stanno continuando ad organizzare conquistano un minimo di attenzione. I futuri Presidi sotto il Miur, con un calendario scandito tra le scuole di Roma più attive, sono già programmati. La fatica – parliamo chiaramente – è quella di mantenere desta l’attenzione in una fase critica dell’anno scolastico che volge verso la conclusione. Sarebbe certo più facile mollare, chiudere gli occhi e consentire che i tanti processi di distruzione della scuola pubblica continuino a minare dalle fondamenta l’impianto della nostra scuola, sperando – individualmente, ciascuno di noi – di riuscire a cavarcela. Rinunciando alla dimensione collettiva, all’interesse generale e alla vigilanza sulla Costituzione, tante volte aggirata con funambolici avvitamenti che stanno violando il mandato che la scuola ha avuto nel processo di ricostruzione democratica del nostro Paese. A Roma, come altrove, il movimento ha individuato tappe ulteriori del programma di mobilitazione, che culmineranno in una manifestazione il 17 aprile. Speriamo e crediamo non finirà lì.

Docenti e dirigenti dipenderanno dalla Regione

di Reginaldo Palermo
E' la proposta della Lega che ha deciso di rompere gli indugi presentando un disegno di legge che entra in aperta concorrenza con quello di Valentina Aprea, fermo da un anno in Commissione.
A poche ore dal risultato elettorale, la Lega passa al contrattacco e decide di presentare un proprio disegno di legge in materia organi collegiali e stato giuridico del personale docente, in netta concorrenza con il progetto di Valentina Aprea fermo ormai da un anno in Commissione Cultura.
Il primo punto fermo della proposta leghista riguarda le modalità di assunzione: non solo il reclutamento dovrà avvenire su base regionale, ma anche i ruoli saranno regionali; in altre parole i docenti non sarebbero più dipendenti statali ma entrerebbero a far parte dei ruoli regionali.
Di conseguenza sparirebbe anche la contrattazione nazionale sostituita da tanti contratti quante sono le Regioni italiane.
Per insegnare in una determinata regione sarà necessario essere inseriti nell’albo regionale, essere residenti nella regione stessa ed impegnarsi a non chiedere trasferimento per almeno 5 anni.
Inoltre nei programmi di concorso sarà prevista anche una prova relativa alla cultura locale.
In realtà il disegno di legge Goisis riguarda non solo il personale docente ma anche gli Ata e i dirigenti scolastici che diventerebbero anch’essi dipendenti regionali.
Con la proposta dell’onorevole Paola Goisis cambia anche la governance delle istituzioni scolastica.
Gli organi sarebbero tre: Consiglio dell'istituzione, collegio dei docenti, dirigente scolastico. Le scuole saranno dotate di autonomia statutaria e saranno finanziate direttamente dalle Regioni, ferma restando la possibilità di ricevere contributi anche dalle famiglie, da enti pubblici, privati e soggetti esterni.
Non manca infine un richiamo ai programmi di studio: "Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado - si legge nella proposta Goisis - utilizzano una parte del curricolo obbligatorio per la costruzione di percorsi interdisciplinari dedicati alla conoscenza del territorio di appartenenza, dal punto di vista storico, culturale, ambientale, urbanistico, economico, sportivo".
Il ddl è stato depositato presso l’ufficio di presidenza della Camera il 30 marzo e nei prossimi giorni dovranno esserne definite le modalità di esame.
Se la Lega dovesse “puntare i piedi” il provvedimento potrebbe andare in Commissione già prima della pausa estiva.
da La tecnica della scuola
07/04/2010