giovedì 26 novembre 2009

L’istruzione e la ricerca sono beni comuni

Con l’approvazione del provvedimento Gelmini sull’Università si chiude una fase del riordino dell’istruzione e della formazione, dettata dai tagli e dalla necessità di fare cassa smantellando il welfare. La miserabile operazione messa in atto da Tremonti è consistita nel prelevare risorse dal settore pubblico per tentare di ripianare la crisi economica globale, i cui effetti peraltro continuano ad essere taciuti, risorse elargite alle banche che della crisi sono prime responsabili.
Negli ultimi due anni è stato l’intero sistema dell’istruzione, della ricerca e della formazione in Italia ad essere massacrato, con il più imponente licenziamento di massa che uno stato abbia attuato nella modernità, il cui prezzo è l’espulsione dalla scuola di 150.000 tra insegnanti ed ATA, e nelle Università la definitiva archiviazione della libera ricerca e delle già flebili aspettative dei precari. Ma è l’intero comparto del lavoro intellettuale sotto attacco: quel lavoro che in altri paesi europei e persino negli Stati Uniti fa da traino per l’uscita dalla crisi e in Italia è stato via via definanziato, già con la riforma Moratti che privatizzava l’istruzione obbligatoria abbassandone la soglia e poi con l’inazione dei vari ministri Mussi, Fioroni, preoccupati di salvaguardare posizioni dominanti e parificare scuola pubblica e privata, finanziando quest’ultima e esternalizzando le competenze della prima.
La scure dei tagli e dei proveddimenti punitivi si è abbattuta dapprima sulla scuola primaria con l’attentato al tempo pieno, alla compresenza e alla programmazione didattica che fanno dell’istruzione elementare italiana la migliore al mondo; quindi sull’Università con il ddl approvato lo scorso ottobre e i cui primi effetti sono la riduzione drastica dei ricercatori a contratto, la definitiva gerarchizzazione dei docenti, la riduzione di risorse per premiare le Università virtuose (del nord) e lasciare alle baronie privilegi e prebende, nonché il reclutamento affidato a commissioni di esperti che giocano a mosca cieca con carriere e raccomandazioni, insieme a manager privati e a.d. semipubblici. Infine sull’istruzione superiore con l’aumento di alunni per classe, la circolare Brunetta sui fannulloni e la riduzione delle risorse per le scuole superiori.
Ma lo scorso anno il movimento dell’Onda, formato da studenti, ricercatori, insegnanti e famiglie, ha frenato gli impeti “riformatori” del governo, imponendo un benefico rallentamento alla distruzione dei beni comuni – malgrado i tentativi violenti di delegittimazione e la pervicacia del Ministro dell’Istruzione nel realizzare lo scempio.
I risultati ottenuti dall’Onda non sono trascurabili: aver impedito l’attuazione del “maestro unico” nelle scuole elementari, aver rallentato l’entrata in vigore della legge 133 nelle Università; aver soprattutto posto in Italia la questione della pubblica istruzione come non si faceva dagli anni Settanta dello scorso secolo. Aver affermato l’insuperabile difesa del “comune” contro gli assalti concentrici di vecchi e nuovi liberismi che, in nome della meritocrazia, della sussidiarietà e della razionalizzazione pretendono di distruggere ciò che la Costituzione ha posto a fondamento di uno Stato democratico: la pubblicità e la laicità della ricerca e della formazione.
Ma le lotte intraprese lo scorso anno hanno ottenuto anche un altro importante risultato: aver spostato quel poco di dibattito pubblico sul welfare dalle condizioni miserabili in cui è impiegato il lavoro materiale a quelle in cui è possibile la conoscenza, in tutte le sue articolazioni. I movimenti che in questi anni si sono battuti, insieme con i precari, le donne, le reti per i diritti civili, e i comitati che sono sorti per contrastare grandi opere e costruzione di servitù militari, discariche e termovalorizzatori, patrimoni immobiliari e rendite, hanno infatti posto al centro dell’attenzione rivendicazioni generali dell’intera società civile: la libertà di ricerca e l’uso delle tecnologie; le potenzialità del lavoro immateriale; l’accesso al reddito e la costruzione di un nuovo welfare non più incentrato sulle differenze tra garantiti e non, tra lavoro e non lavoro, ma sulle possibilità per tutti di un reddito adeguato alle condizioni di esistenza del terzo millennio.
Il paradigma per riformulare completamente luoghi e temi di un contratto sociale all’altezza dei tempi è oggi costituito da ciò che i governi vogliono distruggere: la ricchezza non monetizzabile della conoscenza e dell’ informazione, la produzione e circolazione non privatistica dei saperi e delle tecnologie che costituiscono snodi strategici di risignificazione delle società post-capitaliste.
Le lotte nelle scuole e nelle Università hanno ribadito il carattere comune di beni che confliggono con l’estensione del dominio e hanno promosso una soggettività plurale che attraversa una generazione a cui si tenta di togliere il futuro.
E’ per tutto questo, ma soprattutto per difendere l’eccedenza che inerisce ad ogni produzione di conoscenza, di sapere e ad ogni luogo di circolazione, che sono nati comitati spontanei e coordinamenti di studenti, genitori e insegnanti, di lavoratori dell’istruzione e docenti universitari, talvolta anche di dirigenti scolastici, che continuano ad affermare il diritto ai beni comuni, a non pagare la crisi, a non farsi sottrarre risorse.
D’altra parte il disegno del Ministro dell’Istruzione è, per chi ancora avesse dubbi, ormai chiaro: sostituire alla rappresentanza consigli di amministrazione che decidono non in base alla qualità della ricerca ma ai posizionamenti sul mercato dei singoli istituti e facoltà. Eternizzare la precarizzazione bloccando qualsiasi prospettiva di impiego.
Nello stesso capitolo deve essere rubricato il ddl Aprea sull’istruzione superiore che prevede la trasformazione delle scuole in aziende private, con un consiglio d’amministrazione che sostituisce il consiglio d’istituto; la sparizione della RSU e della contrattazione decentrata, che sarà decisa da enti bilaterali incaricati di distruggere i Contratti Nazionali di lavoro; la chiamata diretta degli insegnanti da parte dei dirigenti scolastici; l’espulsione già in atto dei precari senza distinzioni; la gerarchizzazione degli insegnanti all’interno delle singole scuole; la lesione della libertà di insegnamento; tutto questo corre in parallelo con l’immiserimento della didattica, la riduzione della docenza ad addestramento, degli studenti ad obbedienti esecutori di ordini, pronti ad entrare nel mercato precario del lavoro in una scuola normalizzata, che ritorna alla punizione e alla repressione delle diversità.
Ecco le ragioni per cui questo progetto arrogante deve essere battuto.
Dev’essere sconfitta la filosofia che “anima” questi provvedimenti; l’infame scelta dei tagli, degli investimenti a breve, dell’opportunismo che pretende di uscire dalla crisi non con l’implementazione dei beni comuni, dell’innovazione e dell’eccedenza del sapere, ma con il razzismo e la xenofobia, la violenza e l’ignoranza, la menzogna e l’intrigo.
Ecco le ragioni per le quali tutti/e coloro che si battono per il comune sono irrappresentabili e non ci stanno a mettere la firma sotto contratti che penalizzano tutte le categorie della pubblica istruzione.
Ecco le ragioni per battersi per saperi davvero liberati, spazi autogestiti e autoformazione; perché tra le rovine delle Università e i dissesti della scuola la potenza del sapere è irriducibile al dominio.
Ecco perché, al posto di singole progettualità, sono da costruire soggettività; al posto di elemosine, reddito e risorse; invece che concertazione c’è da pretendere ciò che ci spetta, subito.

Quale ricerca e quale istruzione difendo?

  1. Quella non asservita al capitale e al mercato, in cui i fondi pubblici sono destinati a implementare la gratuità e la condivisione del sapere, l’autoorganizzazione e l’autogestione.
  2. Quella che abbia una reale qualità formativa, non un simulacro educativo in cui proliferano corsi e corsetti sponsorizzati da privati, aziende, esperti esterni.
  3. Quella che separa governance e didattica, amministrazione e ricerca. Mi batto per l’autovalutazione e aborro qualsiasi meccanismo di controllo sul sapere e sulle sue figure.
  4. Difendo la ricerca di base come presupposto della ricerca applicata.
  5. Mi batto per la fuoriuscita dalla devastante tenaglia pubblico-privato e della sussiadierietà che in nome del diritto allo studio, discrimina e divide.
  6. Difendo la cooperatività e l’indipendenza del lavoro cognitivo e delle reti, e combatto la precarietà.
  7. Voglio accesso ad un reddito di base, universale e incondizionato, unico elemento possibile di trasformazione, oltre la sostenibilità, dell’attuale modello di sviluppo.
Sono questi i contenuti che una progettualità all’altezza dei tempi dovrebbe elaborare e senza i quali la presunta autonomia e democrazia nei luoghi della formazione sono parole vuote e miserande.
Per questi motivi mi asterrò personalmente da ogni forma di contrattazione decentrata e denuncerò in ogni sede lo stato attuale in cui versa il bene comune dell’istruzione.

Prof. Paolo B. Vernaglione
RSU d’Istituto – Liceo “L. Manara” - Roma