giovedì 13 maggio 2010

Quanto paghiamo l’ora di religione

Grazie a dio, anzi, grazie al Consiglio di stato, gli insegnanti di religione potranno partecipare alla valutazione degli studenti delle scuole superiori. Avere frequentato l’ora di religione garantirà crediti in più rispetto a tutti gli altri studenti. Il «voto» di religione farà media e costituirà un vantaggio indiscusso già dai prossimi consigli di classe di fine anno. Il giudizio del Consiglio di stato ribalta una precedente sentenza del Tar del Lazio e dà ragione al ministro Gelmini e alla Cei. Si tratta solo dell’ultimo di una lunga serie di favori di cui hanno usufruito gli insegnanti di religione, gli unici a vivere un periodo di vacche grasse mentre tutti gli altri loro colleghi vengono massacrati dai tagli voluti da Tremonti. Oltre ai vantaggi per le scuole private cattoliche, lo Stato paga personale che accede al posto di lavoro grazie al benestare della curia. E con questa sentenza gli conferisce il diritto di promuovere o bocciare.
La sentenza del Consiglio di stato si basa sul seguente ragionamento: chi ha scelto l’ora di religione «ha il diritto-dovere di essere valutato per l’interesse e il profitto dimostrato». Chi non la fa, secondo i giudici, non verrebbe discriminato perché potrebbe frequentare dei corsi alternativi che il Consiglio di stato invita ad istituire in tutte le scuole. Peccato che proprio i tagli governativi facciano sì che questi corsi siano quasi del tutto assenti e che in ogni caso non siano valutati. «Siamo di fronte ad una atto palesemente anticostituzionale – commenta Mimmo Pantaleo, segretario nazionale Flc Cgil – chi fa l’ora di religione ha un giudizio in più che fa media, chi non la fa no. E questo sia nel caso in cui frequenti i corsi alternativi, sia nel caso in cui non li frequenti perché non vuole o perché, come avviene quasi ovunque, non esistono. Inoltre questo cambio delle regole di valutazione avviene in corso d’opera, alla vigilia degli scrutini di fine anno».
La crociata a favore dell’ora di religione in questi anni è stata bipartisan. Fu infatti il ministro del centrosinistra Giuseppe Fioroni a volere che quell’ora potesse dare crediti aggiuntivi agli studenti di buona fede. E fu proprio l’ordinanza dell’ex ministro del Pd a ricevere la bocciatura del Tar del Lazio.
Fioroni, scocciato, annunciò il ricorso che poi fu portato avanti dalla Gelmini e dal governo Berlusconi, in accordo con il Vaticano. E bipartisan è stato anche l’atteggiamento genuflesso dei governi di entrambe le parti che hanno a più riprese aumentato le assunzioni dei docenti di religione mentre tagliavano tutti gli altri.
Gli insegnanti di religione in Italia sono circa 25 mila. Tutti insegnano grazie al benestare delle autorità ecclesiastiche. Tra questi 15 mila sono di ruolo. Hanno ottenuto il posto fisso tutti negli ultimi tre anni grazie a dei concorsi a dir poco speciali. Entrati dalla finestra, grazie a questa via preferenziale, godono però degli stessi diritti dei loro colleghi che da anni aspettano invano un concorso. Non solo. Qualora dovesse sparire il loro corso potrebbero comunque cambiare cattedra e insegnare altre materie superando in curva la lunga fila dei precari che ne avrebbero diritto. Anche gli insegnanti di religione ancora precari sono avvantaggiati: ogni due anni, solo loro, hanno diritto ad uno scatto di anzianità.
Nelle scuole italiane il governo ha stabilito il taglio in tre anni di 140 mila posti di lavoro tra personale docente e non docente. La scuola è la più grande azienda in crisi del nostro paese e una delle prime emergenze occupazionali. Dal punto di vista di studenti e genitori salta tutto: compresenze, supplenti, materiale didattico. Eppure lo Stato, cioè noi, spende più di un miliardo di euro l’anno per pagare lo stipendio agli insegnati di religione che hanno ricevuto il sigillo clericale. E non basterà la crisi di vocazione degli studenti a fare diminuire
l’obolo che la Repubblica versa per l’ora di religione. «Già oggi - racconta Pippo Frisone della Flc Cigl – a Milano (dove il 40% degli studenti delle superiori decide di non fare religione e dove Formigoni elargisce il buono scuola a chi vuole frequentare le scuole private, spesso confessionali) non solo non esistono corsi alternativi, ma anche dove gli studenti che hanno deciso di fare religione sono pochissimi, magari due o tre per classe, si mantiene comunque il corso e si paga lo stipendio all’insegnante. In tutti gli altri casi le classi, invece, si accorpano, i posti di lavoro saltano e gli studenti arrivano ad essere anche 30 per classe. E’ uno scandalo. Dare un vantaggio agli studenti che fanno religione servirà solo ad indurli a
frequentare religione per giustificare la spesa dello Stato a favore dell’insegnamento del cattolicesimo nelle scuole pubbliche».

www del Il Manifesto - FUORIPAGINA 12/05/2010 | Giorgio Solvetti