lunedì 18 gennaio 2010

Scuola, la riforma Gelmini non decolla

L’incertezza regna sovrana e riguarda le famiglie che devono iscrivere per la prima volta i propri figli alla scuola secondaria superiore. Il termine è slittato dal 30 gennaio al 26 marzo. La scelta riguarda oltre 600 mila ragazze e ragazzi

di Pino Patroncini

Era il 30 gennaio il termine solito per le iscrizioni, ma il ministro Gelmini lo ha fatto scivolare per il secondo anno consecutivo al 27 febbraio, però per iscriversi alle scuole secondarie superiori è stata stabilita la data del 26 marzo. Con ciò il ministro Gelmini ha ammesso che, nonostante i mille annunci, la sua “riforma” della secondaria superiore stenta a partire. Una situazione di incertezza regna sovrana e riguarda soprattutto le famiglie che devono iscrivere per la prima volta i propri figli alla scuola secondaria superiore. La scelta riguarda oltre 600.000 ragazze e ragazzi che ogni anno passano alle superiori, circa il 98% di coloro che escono dalla scuola media, un dato che solo qualche anno fa registrava percentuali molto minori (basti pensare che dieci anni fa siaggirava sull’85%). Infatti si può dire tutto il bene o il male che si vuole della nostra scuola, ma un dato incontestabile c’è: il flusso delle iscrizioni alla superiore è andato assai più veloce delle diatribe su obbligo scolastico, diritto-dovere o obbligo di istruzione che dir si voglia. Si può dire che mentre la politica si lambiccava con le definizioni “de jure”, l’obbligo scolastico avanzava “de facto” per libera scelta delle famiglie.

Ma ciò, in assenza di una corrispondente politica scolastica di accoglienza, ha dato luogo poi ad un altrettanto alto tasso di abbandoni e dispersione negli anni successivi (intorno al 20%). Sicché per un 98% di entrate nella secondaria superiore, oggi l’uscita con titoli si colloca intorno all’80%, al di sotto cioè di quell’85% che Lisbona aveva fissato per il 2010 come obiettivo per tutti paesi europei. Di questa mancata politica di accoglienza fa parte anche l’insufficienza strutturale del sistema.

Basti pensare che lo scorso anno il tasso di bocciature nei primi due anni anziché diminuire è passato dal 18 al 21%. Figuriamoci cosa accadrà se, come impongono i tagli di Tremonti, le nuove misure si applicheranno anche sulle seconde classi: avremo studenti che vedranno il primo tempo di un film e il secondo tempo di un altro, in una situazione di confusione e disorientamento che favorirà l’abbandono piuttosto che la lotta alla dispersione scolastica. Il fatto è che l’obbligo di istruzione fino a 16 anni esiste solo sulla carta. Non esiste nella “riforma Gelmini” un’area di discipline comuni che permetta il riorientamento degli alunni nei primi due anni: in altre parole niente biennio unitario. Si dice che ora il ministro ci stia in qualche misura ripensando, ma di fatto la logica della sua “riforma” separa i licei dai tecnici e dai professionali più di qualsiasi altro disegno precedente.

E non giova certo l’aver confermato per l’eternità la possibilità di assolvere l’obbligo anche nella formazione professionale. Si conferma, quindi, una separazione precoce, a 13 anni di età, non solo fra chi è debole socialmente e culturalmente e quindi “naturalmente” destinato ai percorsi regionali di formazione professionale, ma anche all’interno dello stesso sistema dell’istruzione, per il quale non esiste neppure l’ipotesi di un biennio unitario, unica opzione coerente alla scelta, a dire il vero fatta dal precedente governo, di aumentare la durata dell’obbligo scolastico. Si rafforzano le canalizzazioni, all’interno di una concezione gerarchica dei saperi obsoleta, che non tiene conto delle modifiche sostanziali intervenute sia sul versante sociale che su quello economico e del mercato del lavoro.